23. Una visita inaspettata

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"Michi, sappiamo che sei lì dentro!" esclamò Federico appoggiandosi alla porta del piccolo cubicolo dal quale provenivano i singhiozzi di Michelangelo.

Il castano non voleva rispondere. Tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi rassicurato che i suoi amici fossero vicini a lui, sebbene per colpa sua si trovassero in una situazione piuttosto imbarazzante.

"Po-potete andare... no-non voglio che p-perdiate la lezione per colpa mia" riuscì a dire tra un singhiozzo e l'altro.

Si vergognava terribilmente di piangere in quel modo davanti ai suoi migliori amici, e per di più a scuola, ma proprio non riusciva a controllarsi. Il miscuglio di emozioni che lo aveva attraversato in quegli ultimi giorni sembrava aver deciso di fuoriuscire all'improvviso tutto in un colpo.

Le parole di Patrick erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

"No, a lezione ci vieni anche tu!" disse Tommaso, battendo per l'ennesima volta sulla porta del cubicolo.

"Forse invece è il caso che Michelangelo salti quest'ora. Mi sembra troppo provato per tornare in classe" mormorò Federico, il più assennato tra i due.

Tommaso fu sul punto di ribattere, ma poi chiuse la bocca e annuì.

"Avanti, gli faccio compagnia io. Tu torna pure in classe" continuò Federico.

"Ma vuoi scherzare? Una volta che c'è la possibilità di saltare lezione tu mi dici di tornare in classe?".

"Esatto, quindi torna in classe" gli ordinò il corvino, impassibile.

Tommaso scosse la testa e lo osservò con un ghigno divertito. "No, mi dispiace. Io resto con te e Michi. Comunque... io direi di portarlo in infermeria, così lì non c'è il problema che i prof dicano che stiamo saltando apposta la lezione".

"Ma... ma non sono malato" balbettò Michelangelo, asciugandosi le lacrime con la carta igienica.

"Tu sta' zitto, che dopo facciamo i conti!" urlò Tommaso, ricevendo un'occhiataccia da parte di Federico per via della sua indelicatezza.

"Okay, io vado a dire alla prof di inglese che portiamo Michi in infermeria. Torno subito!" disse il rosso, dileguandosi in un battibaleno.

Nel bagno rimasero soltanto Federico e Michelangelo, separati dalla porta verde del minuscolo WC.

Ormai il castano si era abbastanza calmato e aveva smesso di singhiozzare. Rimanevano solo le lacrime, che gli rigavano le guance.

"Michi?".

"Sì?".

"È vero che... che fai danza classica? O se l'è inventato quello stronzo di Patrick?".

"È vero. Non se l'è inventato" ammise Michelangelo, fissando la porta davanti a sé e immaginandosi al di là di essa il volto di Federico.

Ormai aveva capito che sputare il rospo era l'unica cosa da fare.

"Ma come mai non ce l'hai detto?".

"Mi dispiace tanto. Volevo dirvelo, ma non avevo ancora trovato il coraggio di farlo" rispose Michelangelo con un tono di voce triste.

"E da quanto tempo la fai?".

"Da pochi giorni".

"Ah, ma allora è una cosa recente!" esclamò l'altro, decisamente sollevato.

"Sì...".

"E come mai hai deciso di iniziare? Non ci avevi mai detto che ti interessasse la danza".

A quel punto Michelangelo si morse la lingua. Non poteva parlargli di come era iniziato tutto, perché ciò significava raccontargli anche di Ginevra.

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