47. Danzare per sempre

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Era passata una settimana da quando Michelangelo e Ginevra si erano lasciati. Era passata una settimana da quando Federico aveva fatto coming out con i suoi due migliori amici.

Quei sette giorni erano stati lunghi ma necessari per riprendersi dalle forti emozioni che tutti loro aveva provato.

Federico aveva fatto coming out con la sua famiglia e altri suoi amici e ormai non faceva altro che sorridere, felice per la prima volta da tanto tempo. Inoltre le sue prestazioni agli allenamenti di basket, a cui per un po' aveva deciso di non mancare mai, migliorarono notevolmente.

Tommaso non riusciva certo a dimenticare di essere l'oggetto del desiderio del suo migliore amico, ma con un po' di sforzo da parte di entrambi tornarono a essere gli stessi inseparabili amici di un tempo, quelli il cui solido rapporto era invidiato da tutti.

Non si sapeva ancora chi fosse stato a mettere in giro la diceria riguardo all'omosessualità di Federico, ma ormai non aveva più importanza, dato che la verità era stata rivelata. Appena qualcuno aveva da ridire sul suo orientamento, spuntavano i suoi due paladini, Tommaso e Michelangelo, e lo difendevano con una buona dose di coraggio e sfrontatezza.

Quella settimana Michelangelo aveva deciso di passare più tempo del solito all'aria aperta, perché stare troppo a lungo chino sui libri non avrebbe giovato al suo umore, già messo a dura prova dalla rottura con Ginevra.

Quella ragazza gli mancava terribilmente. La vita non gli sembrava più la stessa senza di lei.

Ogni sera Michelangelo faticava a prendere sonno; per di più spesso la sognava e si svegliava piangendo.

Eppure anche quella sofferenza un giorno sarebbe finita e avrebbe lasciato il posto al piacere, al ricordo dei momenti trascorsi insieme a lei. Anche se la loro storia era durata poco, nemmeno un mese, gli aveva insegnato più di tanti anni di studio intenso e, talvolta, fine a se stesso.

Ai suoi genitori aveva comunicato la notizia della sua rottura con Ginevra quello stesso sabato in cui era uscito con Tommaso e Federico, al porto. Loro l'avevano consolato più di quanto il ragazzo si sarebbe potuto immaginare, ma, soprattutto, gli avevano lasciato un po' di spazio. Sembrava che avessero imparato la lezione e avessero deciso di fidarsi di più di lui. Tutto ciò che dovevano fare era dargli la possibilità di sbagliare.

Dal canto suo, Michelangelo si promise di aprirsi di più, sia con loro che con i suoi amici. Tanta sofferenza gli sarebbe stata risparmiata in quegli ultimi tempi se avesse avuto il coraggio di confidarsi con le persone che lo amavano e che erano lì per lui.

Non aveva ancora contattato Ginevra, ma, pian piano, una volta che la ferita si fosse cicatrizzata del tutto, avrebbe avuto voglia di rivederla. Potevano ancora darsi tanto, anche se come semplici conoscenti.

Ciò che gli sembrava impossibile soltanto pochi giorni prima, quando ancora annaspava nel mare di disperazione in cui la perdita di Ginevra lo aveva gettato, una settimana dopo gli pareva già qualcosa di fattibile.

Riguardo alla scuola, il ragazzo si ripromise di impegnarsi sempre, ma senza soffrire inutilmente. La ricerca della perfezione non era che un espediente per ignorare l'insoddisfazione che provava nei confronti di se stesso. Anche se aveva ancora tanta strada da fare per accettarsi e amarsi, era sicuro che un giorno ci sarebbe riuscito, così come avrebbe imparato a contenere la sua brama di eccellere.

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Era sabato pomeriggio, al tramonto, quando Michelangelo Martini mise piede sulla sabbia dorata della spiaggia libera dove andava sempre con i suoi migliori amici.

Come al solito non c'era molta gente; anzi, non c'era quasi nessuno, solo una coppia di ragazzi, all'incirca della sua età, seduti non molto lontano. Ridevano e scherzavano allegramente e per questo a Michelangelo ricordarono tanto Tommaso e Federico.

Sorrise e si avvicinò al mare. Il vento soffiava, ma non era una brutta giornata, anzi, il cielo era azzurro e il sole morente splendeva alle sue spalle, donando a ogni cosa un'aura dorata.

Michelangelo toccò l'acqua fredda del mare con una mano e rabbrividì, ma poi sorrise. Lo rallegrava molto essere lì, in uno dei posti che più gli stavano a cuore, solo con se stesso e con i propri pensieri, dopo una settimana pesante ma vissuta.

Michelangelo chiuse gli occhi e inspirò l'aria fresca e salmastra. Inspirò così tanto che i polmoni gli pizzicarono. Poi espirò e aprì di nuovo gli occhi, ammirando la distesa azzurra davanti a sé.
Era meraviglioso, il mare, increspato leggermente dal vento. Le onde dispettose arrivavano fino alle sue scarpe e gliele bagnavano, ma non per questo lui sarebbe indietreggiato.

Michelangelo si sentiva finalmente in pace con il mondo intero, mentre si trovava davanti a quel mare che non esigeva nulla da lui e gli permetteva di essere se stesso.

Per puro caso uno dei due ragazzi seduti sulla sabbia riprodusse un brano di musica classica sulla sua piccola cassa portatile. Fu un caso, ma quella piccola cosa fece battere più velocemente il cuore a Michelangelo. Non gli era mai capitato che qualche adolescente ascoltasse quel genere di musica ad alto volume in pubblico.

L'unica a farlo era stata Ginevra.

Per un po' Michelangelo si immaginò che alle sue spalle, seduta sulla sabbia e autrice di quella specie di miracolo, ci fosse proprio lei, vestita di un abito bianco, con i capelli neri a incorniciarle il viso e gli occhi grigi che guardavano l'infinito.

Michelangelo non sapeva il perché, ma si mise a ballare. Si trovava sulla battigia e dietro di lui, a qualche decina di metri di distanza, c'erano due ragazzi che ascoltavano musica classica e che di sicuro lo stavano guardando. Ciononostante, non gliene poteva importare di meno.

Quelle note erano bellissime e immortali e il ragazzo iniziò a muovere lentamente il corpo al ritmo di quella melodia. Allungò un braccio dietro l'altro, una gamba dietro l'altra, poi la testa, i piedi, tendendo i muscoli, poi facendo una pirouette e scalciando la sabbia. Teneva i piedi a punta, le dita delle mani distese come se volesse raggiungere qualcosa, le gambe che tracciavano cerchi sulla sabbia.

Ogni movimento aveva il suo spazio e la sua importanza. Ogni movimento era legato e Michelangelo non sapeva nemmeno se quella fosse danza classica, moderna o cos'altro. Era semplicemente danza, pura espressione del corpo, che lasciava fuoriuscire le emozioni che aveva provato in quelle ultime settimane, regalandole al sole morente e al mare infinito.

Michelangelo Martini non si era mai sentito così vivo. Pianse, non vergognandosi delle sue lacrime, e ballò dolcemente e delicatamente, con cura e attenzione, precisione e altrettanta passione.

In quel momento capì. Aveva smesso di frequentare un corso di danza e anche se un giorno avesse ripreso, in realtà tutto ciò aveva poca importanza.
In quel momento lui non stava ballando perché aveva imparato una coreografia. In quel momento lui stava ballando perché il linguaggio della danza era diventato il suo linguaggio e perché in quel modo si sentiva vivo, libero e felice.

Lui non era un ballerino, né lo sarebbe mai diventato, ma di una cosa era certo: avrebbe danzato per sempre.

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