34. Nonna e nipote

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Il giorno seguente Michelangelo si impegnò tantissimo nello studio, sebbene nella sua testa continuassero a riecheggiare le parole che sua mamma gli aveva detto la sera prima. 

Era felice di essersi aperto con lei e iniziò perfino a credere che non fosse troppo tardi per instaurare un legame profondo con la donna che lo aveva dato alla luce. 

Si era tolto un peso dal petto e si sentiva leggero come una piuma. Per la prima volta da tanto tempo, Michelangelo studiò con il sorriso stampato sulle labbra.

La sera prima sua mamma aveva ascoltato attentamente ciò che Michelangelo aveva da dire, lo aveva abbracciato e gli aveva promesso che sarebbe stata lei a dire tutto a suo padre.

Quella sera stessa aveva parlato con il marito, di ritorno dal lavoro. Michelangelo si vergognava di non essere stato lui a comunicarglielo, eppure allo stesso tempo non riusciva a non sentirsi infinitamente grato nei confronti di sua mamma.

Infine il padre del ragazzo era andato in camera del figlio. Probabilmente era davvero stanco, poiché gli aveva detto poco o niente, ma non sembrava arrabbiato. Era serio, ma come sempre d'altronde.

Nemmeno nei suoi sogni migliori Michelangelo aveva immaginato che i suoi genitori avrebbero reagito così.

Oltre ad averlo sostenuto, sua madre gli aveva consigliato di saltare un giorno di scuola per andare a trovare sua nonna, che abitava in un'altra città, a un'ora di treno da quella dove abitavano Michelangelo e la sua famiglia.

Forse aveva avuto pietà di lui, o forse aveva voluto fargli un piccolo regalo. In ogni caso, tale concessione aveva lasciato il ragazzo a bocca aperta: quella era forse la prima volta che i suoi genitori gli permettevano di perdere un giorno di scuola sebbene fosse in perfetta salute.

“Michi, portami con te!” gli urlò Tommaso mentre i tre migliori amici erano in videochiamata.

“Io direi che Michi si merita una giornata di totale relax e coccole da parte di sua nonna, dopo tutto lo studio matto e disperatissimo delle ultime settimane” commentò invece Federico.

Per Michelangelo era bello sentirli. Era un po' triste all'idea di non vederli il giorno seguente, però il bisogno di staccare per qualche ora dalla vita quotidiana e respirare aria nuova prevaleva su tutto.

Inoltre era sicuro che una volta tornato a casa avrebbe recuperato il tempo perso con i suoi migliori amici. Non vedeva l'ora che le cose si aggiustassero tra di loro.

Partì con un treno alle nove di sera e passò tutta la durata del viaggio a guardare fuori dal finestrino il mare e il cielo nero.

Quella distesa d'acqua del colore dell'inchiostro a tanti pareva inquietante e minacciosa, ma per Michelangelo era rassicurante e familiare. Era cresciuto in quel posto e il mare era sempre stato quella specie di entità a cui potersi rivolgere quando troppi pensieri gli passavano per la testa e quando le emozioni prendevano il sopravvento.

Il mare, sia che fosse calmo, sia che fosse burrascoso, era lì per lui e lo ascoltava.

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Si svegliò quando il treno entrò in stazione. Per un istante si sentì smarrito e temette di aver superato la fermata a cui doveva scendere. Poi guardò fuori dal finestrino e, nonostante il buio, riconobbe gli edifici al di là dei binari. Era arrivato a destinazione.

Si alzò e si avviò verso l'uscita. Essendo tardi non c'era quasi nessuno sul treno e nemmeno in stazione.

Michelangelo si strinse nel cappotto, rabbrividendo per via delle raffiche di vento che gli percuotevano tutto il corpo, e, ignorando un improvviso senso di solitudine, si avviò verso la casa di sua nonna, che si trovava a una decina di minuti dalla stazione.

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