𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐬𝐞𝐢

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Quando mi ritrovai davanti all'imponenza di quell'edificio, dopo che non lo avevo più visto da anni, nacque in me di nuovo quella sensazione di estasi mischiata alla paura e alla frenesia di mettere in dosso i pattini ed incominciare a danzare sul ghiaccio.

D'istinto chiusi gli occhi e presi un respiro profondo: nella testa riaffiorarono tutti i bei momenti che avevo vissuto lì dentro, le cadute, le risate e anche i pianti che alla fine di tutto mi rendevo conto di rimpiangere.

Però anche se facevo finta di niente, anche se cercavo di avere memoria solo del lato positivo di quello che era stato il mio passato all'Accademia, le ferite che avevo dentro di me si aprivano con facilità perché non si erano minimamente rimarginate e forse non lo sarebbero mai state. Io pensavo sempre a quello che avevo subito e più rimuginavo su quella cosa più mi rendevo conto che avrei dovuto convivere con quel dolore per sempre e non dirlo a nessuno mi sembrava ancora la scelta più saggia per cercare di fare finta di niente e vivere la vecchia vita.

«Biondina ci sei? Entriamo?» mi chiese Harry poggiando una mano sul mio fianco e risvegliandomi dai miei pensieri.

Annuì subito e, con ai miei lati Harry e Niall, varcai dopo ben tre anni l'ingresso dello Skating Club di Boston, quello che un tempo era stato la mia seconda casa ma allo stesso tempo il mio inferno terrestre.

«Dove stiamo andando Harold?» chiese il biondo mentre seguivamo Harry per i corridoi dello Skating Club.

«Nell'ufficio di Liam Payne, il mio allenatore.» rispose il moro come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

Non avevo aspettative su Liam, ero solo estremamente terrorizzata. Speravo con tutto il cuore di trovare davanti a me una persona dal cuore buono, un uomo come si deve, magari un eccellente padre di famiglia e non di certo un viscido come Fisher.

Trattenni il respiro fin quando non ci trovammo davanti ad un ufficio, o meglio, quell'ufficio, quello che era stato il teatro di tutti i miei abusi, di tutte le violenze che avevo subito, dell'inferno che avevo dovuto vivere. Fuori c'era ancora la targhetta con sopra il nome di Fisher e appena la lessi mi vennero dei brividi lungo la schiena.

Mi veniva da piangere, volevo urlare, buttare fuori tutto il mio dolore e poi scappare via per non mettere mai più piede in quel posto ma alla fine feci nulla di ciò però perché, per l'ennesima volta in cui mi trovai faccia a faccia con il mio passato, mi paralizzai.

Subito Harry bussò alla porta di quel terribile posto da cui provenne dall'interno un "avanti" e, dopo un occhiolino e un dolce sorriso da parte del mio fratellastro, entrammo tutti e tre.

All'istante, senza degnare di uno sguardo quello che sarebbe diventato il mio allenatore, studiai a fondo ogni minimo angolo di quell'ufficio e, a mia sorpresa, tutto quello che era stato testimone dei miei abusi non c'era più: Liam aveva cambiato radicalmente quel posto, non c'erano più quel divano, quella scrivania, quella sedia. Era diventato un ufficio molto luminoso, colorato e deliziosamente giovanile.

Subito diressi lo sguardo verso Liam e, appena lo vidi, capii all'istante il motivo per cui quell'ufficio fosse così grazioso: era un ragazzo molto giovane di qualche anno in più di me.

«Margot, lui è Liam Payne.» disse Harry presentandolo.

Io d'istinto sorrisi e notai che nei suoi occhi c'era un bagliore, un'emozione e una felicità incontenibile.

«Io sono...» provai a dire ma lui subito mi interruppe.

«...Margot Brown, una delle più talentuose ed eleganti pattinatrici che siano mai esistite.» affermò Liam guardandomi con sorriso enorme come una casa.

𝐂𝐎𝐋𝐃 𝐀𝐒 𝐈𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora