𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐫𝐚𝐧𝐭𝐚𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞

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Con foga buttai giù l'ennesimo shot che mi ero ordinata. Puntualmente i miei polmoni e la mia gola iniziarono a bruciare come il fuoco, il fiato mi mancò e d'istinto chiusi forte gli occhi per l'effetto che ogni volta l'alcol mi faceva. Poter bere senza preoccuparmi minimamente delle conseguenze era una sensazione meravigliosa, mi appagava profondamente.

«Andateci piano...» ci rimproverò Noah mentre io e Rita continuammo a buttare giù shot uno dietro l'altro come se fosse acqua.

Avevo voglia di sballarmi una volta tanto, di non essere sempre la solita rigida, seria e tranquilla Margot, volevo ubriacarmi, avevo voglia di bere fino a stare male e non pensare a niente se non al male alla testa che avrei avuto l'indomani.

«Sta tranquillo Noah, sappiamo cosa facciamo» disse Rita traballando qua e là per il locale in cerca di un divanetto su cui sedersi.

Lo sguardo di Noah, che era fisso su di me, per quanto fosse serio ed apprensivo, era meravigliosamente divertito e allo stesso tempo sorpreso dalla mia reazione, tanto che sul suo viso c'era un ghigno che stava tentando di nascondere a tutti i costi.

«Che c'è?» gli chiesi mentre iniziai a ballare a ritmo di musica tenendo in mano il mio shot di vodka.

«In tutti questi anni non ti avevo mai visto ubriaca» rispose.

«Non sono ubriaca...» affermai, ma non feci in tempo a finire la frase che per poco non caddi dai tacchi che indossavo.

Dopo essere partiti dallo Skating Club eravamo andati a casa di Rita e, dopo aver preso in prestito un abito e un paio di tacchi per fare serata, avevamo deciso di venire in un locale che stava a cinquanta chilometri da Boston per poterci divertire solo noi tre.

Quello che avevano fatto Noah e Rita quella sera mi aveva fatto capire quanto fortunata fossi ad avere al mio fianco delle persone così speciali come loro: era bastato chiedere aiuto perché mi corressero incontro per tendermi la mano. Erano stati disposti ad accompagnarmi in un locale pazzesco solo per cercare di distrarmi, di farmi sentire meglio e non avevano ancora voluto sentire ciò che mi stava turbando, stavano solo cercando di distrarmi e rendermi il più felice possibile.

Il problema era che non potevo evitarlo, potevo di certo divertirmi, ubriacarmi, ridere e ballare come una matta in quel locale, ma il problema persisteva e stava a cinquanta chilometri da dove mi trovavo in quel momento.

Perciò, proprio quando Noah mi sorresse per cercare di non farmi cadere a terra come un salame, decisi di lasciarmi completamente andare: scoppiai a piangere in un pianto disperato mentre il mio migliore amico, con parecchia fatica, mi trascinò fino al divanetto su cui si era seduta Rita. Per quanto fosse dura da ammettere, anche se fino a quel momento ero stata completamente euforica e senza freno grazie agli shot di vodka, nella mia testa continuavo a pensare a ciò che era successo allo Skating Club, ad Harry e Louis in boxer, ai loro visi arrossati dalla passione, alla loro fretta di rivestirsi con la paura che scoprissi tutto, allo sguardo perso del mio Zayn, al suo supplicarmi di non andare via, alle ripetute chiamate che mi aveva fatto da quando ero fuggita via con Noah.

Odiavo comportarmi così, non volevo farlo soffrire, ma come poteva anche solo pretendere che facessi finta di nulla?! Mi aveva nascosto una cosa troppo grande, troppo importante.

«Che succede? Hai voglia di parlarci di cosa non va, Margot?» mi chiese Rita cercando di riacquistare la lucidità sufficiente per parlarmi ed ascoltarmi seriamente.

Quando alzai il capo per poter guardare negli occhi Rita e Noah e pronunciai i nomi di Harry e Louis, vidi i loro visi diventare serissimi, i loro sguardi spalancarsi e in un batter d'occhio si irrigidirono.

𝐂𝐎𝐋𝐃 𝐀𝐒 𝐈𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora