𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢𝐜𝐢

570 30 17
                                    

"I. Lispenard Street. L'appartamento all'undicesimo piano aveva solo un armadio, ma c'era una porta scorrevole che affacciava su un balconcino dal quale poteva vedere un uomo seduto di fronte, all'esterno, in maglietta e pantaloncini anche se era ottobre, che fumava. Willem sollevò una mano a mo' di saluto, ma l'uomo non rispose".

«Margot...» sussurrò una voce distogliendomi dall'ennesima rilettura del mio libro preferito, «...che stai facendo?» mi chiese zia Barbara incuriosita.

«Leggo» dissi mostrandole la prima pagina del libro che avevo sulle ginocchia.

«Fammi vedere la copertina» affermò sedendosi accanto a me incuriosita. Dopo averla accontentata la guardai e notai che un sorriso intenerito era nato sul suo viso non appena vide che si trattava di "Una vita come tante".

«Esattamente quante volte lo hai letto, cuor di panna?» mi chiese ridendo.

«Questa credo che sia la sesta» risposi stringendomi il libro al petto proprio come se fosse stato un figlio. Forse un po' lo era, lo sentivo come una parte di me ormai. Negli ultimi mesi non avevo fatto altro che leggere e rileggere la dolorosa e straziante storia di Jude. Per certi aspetti ci vedevo tanto di me in lui e riusciva a descrivere esattamente lo strazio che prova una persona che ha subito degli abusi.

Sapeva che cosa volesse dire la costante sensazione di sentirsi spregevoli, orribili e marchiati a fuoco da un qualcosa che nessuno è in grado di comprendere.

Leggerlo, per quanto mi facesse stare male, allo stesso tempo, facendomi sfogare e piangere per il dolore che provava Jude, mi dava la forza per andare avanti. Mi sentivo un po' come "in dovere" di vivere sia per me sia per lui nonostante fosse solo un personaggio di un romanzo.

Quel libro, che ormai era diventato indispensabile per me, mi aveva accompagnato ovunque e lo si vedeva dalle pagine un po' stropicciate e anche leggermente ingiallite, dalla copertina rovinata, da qualche macchia di caffè e té sparsa qua e là e dalle lacrime intrappolate negli attimi di sofferenza di Jude in cui più mi rispecchiavo. In quelle pagine c'era tanto di me: i miei momenti più difficili, quelli bui e dolorosi che nessuno aveva mai visto, nemmeno zia Barbara.

Era stato anche quel libro a darmi la forza di lottare perché, nonostante capissi e comprendessi la sua scelta, non volevo fare la stessa fine di Jude: mi sentivo in dovere di lottare per non ferire le persone attorno a me.

«Perché non passi ad un'altra lettura? Non puoi continuare a rileggere lo stesso libro!» disse zia Barbara divertita.

«Ci dovevi pensare prima di regalarmelo: ora è mio e me lo leggo fino alla sfinimento!» ribattei giocando.

Lei, sapendo quanto ormai quel libro fosse importante per me, sorrise intenerita, mi fece appoggiare la testa sulla spalla, mi scoccò un bacio sulla nuca per poi accarezzarmi dolcemente i capelli e la schiena con fare amorevole.

Ricordo ancora perfettamente il giorno in cui mi aveva regalato "Una vita come tante": ero appena arrivata da Los Angeles e non facevo altro che piangere nella mia camera. Ero rimasta chiusa lì dentro per giorni e giorni e non avevo alcuna intenzione di uscire, nessuno era stato in grado di tirarmi fuori da quella quattro mura. Lei, come se nulla fosse, un pomeriggio è arrivata, è entrata nella mia stanza senza nemmeno bussare alla porta (tipico di zia Barb) e, mentre io ero distesa sul mio letto a piangere, mi aveva letteralmente lanciato quel libro.

«Leggilo, sfogati e poi esci da questa cazzo di stanza, chiaro?!» mi sbottò contro, poi se ne andò sbattendo la porta.

Non pensavo che questo libro avrebbe funzionato, non avevo alte aspettative perché, seppur mi piacesse tanto leggere, non credevo che delle pagine avrebbero potuto alleviare un dolore così imponente come quello che provavo: mi sbagliavo terribilmente.

𝐂𝐎𝐋𝐃 𝐀𝐒 𝐈𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora