𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐭𝐫𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐫𝐞'

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Era passata una settimana e mezza dalla festa a casa di Liam. Avevo provato in parecchi modi a contattare Zayn ma lui sembrava non volesse più sentirmi: gli avevo mandato dei messaggi che erano stati ignorati, lo avevo chiamato ma non mi aveva mai risposto e avevo anche cercato di telefonargli con il telefono di Noah ma appena aveva sentito la mia voce aveva riattaccato all'istante senza ascoltarmi.

Avevo provato in qualsiasi modo a parlargli perché volevo chiarire la situazione, sentivo la necessità di provare a riparare le cose come mi aveva consigliato Noah perché sì, avevo capito di aver fatto una cazzata colossale a lasciarlo andare, ma a lui non interessava recuperare e mi stava evitando come la peste.

Dentro di me sentivo una sensazione di vuoto opprimente che immaginavo fosse senso di colpa e rimorso: mi mancava l'aria e, seppur fossi circondata da moltissime persone, avevo la costante impressione di essere da sola, era come se mi trovassi in un mondo disabitato.

Per cercare di evitare quella sensazione, di non pensare a quello che un tempo era il mio bellissimo occhi belli e a tutto quello che era successo, con l'inizio della settimana ovvero l'inizio mese di dicembre, mi ero prefissata di gettarmi a capofitto con tutta me stessa nel pattinaggio: volevo migliorare, smettere di pensare a Fisher ogni volta che le lame dei miei pattini toccavano il ghiaccio, volevo tornare ad essere sicura come anni prima e l'unico in grado di aiutarmi era Liam ovviamente.

Ormai mi stavo allenando con lui tutti i giorni, non lavoravo più in caffetteria perciò avevo tutto il tempo che volevo a disposizione: rimanevo ore ed ore chiusa nello Skating Club, da quando Zayn era scomparso trascorrevo interi pomeriggi sul ghiaccio a pattinare, cadere, rialzarmi ed esercitarmi per essere minuto dopo minuto più sicura di me e tutto quel lavoro sembrava ripagarmi dato che i risultati iniziavano a vedersi.

La verità però era che faticare, farmi male cadendo sul ghiaccio e sentire il dolore muscolare a fine giornata era più sopportabile di quello che sentivo per la mancanza di Zayn: lavorare non mi faceva pensare a quanto ero stata stupida ad aver perso un ragazzo come lui.

Avevo provato ad allenarmi più volte anche con Harry alcune coreografie e man mano, ora di allenamento dopo ora, miglioravamo sempre di più e diventavamo sempre più affini nel pattinare proprio come un tempo: quando mi sollevava mi sentivo molto più sicura e non avevo più paura.

Harry e Liam erano riusciti insieme a ridonarmi la sicurezza che un tempo avevo sul ghiaccio.

Quando però la sera ero casa, dopo una dose quotidiana di coccole al mio Nialler, mi rintanavo da sola nella mia stanza ed era quello il momento della giornata in cui stavo peggio: rimanendo abbandonata con i miei pensieri, tutto mi sembrava grigio e l'angoscia, il dolore e le lacrime si prendevano possesso di me.

Davanti a tutti potevo fingere di essere felice, di essere allegra, di essere di nuovo la vecchia Margot, dentro di me però sapevo quanto in realtà Zayn mi mancasse e quanto mi sentissi vuota senza di lui.

L'idea di sentirlo così distante da me non solo a livello fisico ma anche a livello mentale mi distruggeva perché sapevo che la colpa era solo mia. Mi ero procurata una ferita lacerante con le mie stesse mani. Mi meritavo tutto quello che mi stava facendo: mi meritavo il suo allontanamento, il suo silenzio e anche il suo avvicinamento con Gigi.

Vedere la mia amica felice era gratificante, ovviamente mi facevo vedere contenta per lei, l'ascoltavo quando mi diceva che Zayn le scriveva, diceva di sentire la sua mancanza e le mandava foto della sua quotidianità per renderla partecipe alla sua vita a New York, ma dentro di me soffrivo da morire perché dopotutto il ragazzo che la stava rendendo felice era lo stesso ragazzo che amavo con tutto il mio cuore.

𝐂𝐎𝐋𝐃 𝐀𝐒 𝐈𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora