𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐨𝐝𝐢𝐜𝐢

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Mentre ero seduta sul grande davanzale della finestra, che mi permetteva di godermi la vista sulla strada del quartiere, fissavo ininterrottamente il sole che stava nascendo e continuavo a pensare che da lì a poche ore sarei ritornata a pattinare.

La sera prima Liam, con uno dei suoi dolcissimi messaggi, mi aveva scritto che avrei dovuto raggiungere lo Skating Club per le otto, poi successivamente mi aveva allegato un video con dei gattini che avrebbe dovuto essere divertente "per allentare la tensione".

Come se io fossi agiata...

La verità era che non sentivo niente di niente dentro di me, ero come un tronco di legno. Non avevo paura, non avevo ansia, non mi veniva da vomitare per la tensione, non mi tremavano le gambe e non ero neppure felice di tornare finalmente in pista. Non sentivo assolutamente niente a differenza della prima volta che avevo messo piede nello Skating Club dopo i miei anni di assenza.

Non mi importava di come sarebbe andata la lezione, ero solo tanto stanca, avevo un sonno terribile e l'unica cosa che desideravo era mettermi nel letto per dormire ore ed ore infinite senza preoccuparmi di niente.

Erano passati cinque giorni da quell'episodio in caffetteria con Zayn, da quello stupido bacio sulla guancia che, seppur fosse stato un gesto insignificante, per me era stata una vera tragedia dato che erano esattamente cinque notti che la mia testa non mi dava pace e mi impediva di dormire.

Quando il sole calava tutti andavano a dormire ed io, rimanendo in compagnia della solitudine della mia camera, non riuscivo a non pensare, mi veniva in mente la sua costante arroganza, il veleno che usava per pronunciare ogni singola parola che usciva dalla sua bocca e i suoi occhi scuri e profondi che mi disprezzavano profondamente.

Ma assieme a tutto quello non riuscivo a non pensare alle sue labbra che sfioravano la mia guancia, alle sue mani sui miei fianchi e al suo afrodisiaco profumo.

In quei giorni avevo letto qualcosa su di lui e da come ne parlavano le ragazze che lo avevano incontrato sembrava che fosse capace con la sua figura e con il suo sorrisino a renderti completamente dipendente da sé e, anche se non volevo ammetterlo, forse un pochino era successo anche a me dato che continuavo a pensare costantemente a lui trascurando tutto e tutti.

Per tutti quei cinque maledetti giorni avevo ignorato Noah, Harry e perfino Niall, non avevo fatto nient'altro se non sperare di vederlo entrare nella caffetteria di zia Barbara, proprio come mi aveva promesso prima di andare via. Ero andata a lavorare tutti i giorni per tutto il giorno facendo turni extra sperando vivamente che, nonostante le sue parole, venisse lì solo per me, perché alla fine di tutto si era ricreduto e forse voleva essere mio amico, voleva provare a conoscermi, ma ero stata solo una povera illusa: io e Zayn eravamo troppo simili per non andare in contrasto.

Non era mai venuto e solo in quel momento, con lo sguardo perso nel vuoto, mi ero resa conto di quanto fossi stata ridicola in quei giorni.

La continua domanda che però mi perseguitava era il perché volessi tanto vederlo se ogni volta che ci incontravamo finivamo per battibeccare e stuzzicarci l'un l'altra: perché mi divertivo così tanto a farmi del male da sola?

Per tutte quelle cinque notti non avevo fatto altro che pensare a cosa fare e ad un certo punto ero stata quasi tentata di chiamarlo, di dirgli che accettavo le sue scuse seppur finte, di provare a non litigare perché c'era qualcosa in lui che nonostante mi facesse imbestialire mi faceva sentire legata alla sua persona.

Ciò che mi stupiva di me stessa era proprio questa mia "sottomissione" nei suoi confronti che di rado mi succedeva di avere con qualcuno: mi aveva maltrattata, aveva parlato malissimo di me e in un certo senso mi aveva fatto capire in mille modi che a lui di me non importava nulla, che se anche mi feriva non gliene importava niente e soprattutto che non gli ero particolarmente simpatica.

𝐂𝐎𝐋𝐃 𝐀𝐒 𝐈𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora