CAPITOLO 36

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• Firenze, 4 Agosto 1993

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• Firenze, 4 Agosto 1993

La berlina nera su cui ero seduto si era fermata, rivelando l'ampio giardino su cui giaceva quell'imponente castello.

«Signorino, bentornato a casa. Suo padre la sta aspettando nel suo studio.», annunciò il sottoposto di mio padre con tono formale e senza guardarmi neanche per un secondo negli occhi. Intravidi dal finestrino alcuni uomini avvicinarsi per aprire la portiera, ma odiavo quel tipo di trattamento così gli anticipai scendendo senza il minimo riguardo nei loro confronti.

Nonostante avessi poco più di otto anni, il modo in cui abbassavano il capo appena sorpassavo ognuno di loro, sottolineava ulteriormente la mia posizione all'interno di quel mondo contorto. Il futuro presidente dell'organizzazione. Con passi celeri varcai la soglia dell'atrio in marmo, talmente lucido da potersi specchiare sullo stesso. Non dovetti sforzarmi più di tanto per capire che il tremolio sotto i miei piedi, significava che il Boss stava scendendo ad accogliere il proprio erede, che aveva spedito in capo al mondo per addestrarlo a diventare un degno successore.

«Il mio piccolo bastardo è tornato! Fatti vedere dal tuo vecchio.», sentenziò quella voce che di affettuoso non aveva un bel niente. Rimasi perfettamente composto in attesa fosse lui stesso a raggiungermi insieme alla sua scorta personale, che da folle qual era, obbligava a seguirlo dentro la sua stessa dimora.

Si posizionò con il suo corpo massiccio, avvolto da uno dei tanti completi sartoriali che faceva progettare appositamente per lui, davanti al sottoscritto. Nonostante intravidi il palmo della sua mano avvicinarsi pericolosamente al mio viso, mantenni la postura eretta con le braccia incrociate dietro la schiena. Non percependo neanche un battito di ciglia, sorrise compiaciuto trasformando quel gesto in una pacca.

«Padre.», proferì allacciando lo sguardo al suo, nonostante fosse severamente proibito a tutti. A quel gesto di pura sfida, un sorriso perfido si fece spazio su quel volto segnato dal tempo.

«Vincenzo, figliolo. Sai che non sei qua in vacanza, vero?»

«Vincent. Ho immaginato, dov'è mia madre?», obiettai leggermente innervosito non vedendo nessuna delle sue domestiche in quell'atrio.
Inoltre, ogni volta insisteva a chiamarmi in quel modo sapendo di non averne il diritto, l'unica era lei. Quella domanda sembrò accendere quella miccia pronta a scaldare gli animi, facendolo scoppiare in quell'odiosa risata da folle.

«Pensi realmente che sia rimasta a piangersi addosso, dopo che ti ho spedito all'accademia?»

«Ti ho fatto una domanda e credo tu debba rispondere.», insistetti duramente.

«Con quale autorità osi rivolgerti al tuo Boss in questo modo?», sbraitò irritato dall'unica voce che avesse il coraggio di contrariarlo. La mia.

«In questo momento, sto parlando con mio padre. Inoltre, non azzardati a chiamare quel tugurio Accademia! Se volevi sbarazzarti del sottoscritto, potevi trovare un'infinità di soluzioni!», come sempre era riuscito a farmi perdere le staffe in un nano secondo. Con ancora addosso lo sguardo minaccioso dei suoi uomini, mentre studiavano attentamente ogni mia mossa, fece un lungo tiro dalla sigaretta posizionata tra le sue labbra.

DOUBLE FACE | 𝐌𝐀𝐅𝐈𝐀 𝐑𝐎𝐌𝐀𝐍𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora