Qualcosa di tuo

25 5 0
                                    

DOMINIQUE

Anthony spegne le luci dell'entrata, abbassa la serranda, muove passi distratti, forse riordina le ultime cose sotto il bancone, forse cerca un modo semplice e discreto per dirmi che vuole tornare a casa. Resto seduto su un divano della sala, il bicchiere è appoggiato al tavolo. Gioco con la sua borsetta, è minuscola, sorrido mentre sfioro l'iPhone, i suoi occhi esplodono dentro il display. Mi fissa ammiccando, potrei passare la notte a giocare con la sua immagine. È bellissima, questo è innegabile, il suo corpo è un bersaglio, la tensione è un punto d'accesso.
«Dominique, ti riaccompagno in albergo?».
«Preferisco fare due passi, grazie. Vai pure. Buona notte».
«Buona notte».
Lo guardo, è di spalle, scompare nell'ombra. Anthony è l'uomo che risolve ogni problema. In questi anni ha tenuto in piedi la cascina di famiglia a Vicchio, si è occupato di tutte le inquietudini di mia madre che si ostina a non vendere niente, pur non volendo rimettere piede in Italia. Ha preso possesso delle mie richieste e le ha affrontate una ad una, con calma e discrezione.
Assaporo il liquido ambrato che mi riempie il bicchiere e lo mando giù in un unico sorso. Ripenso al corpo che spinge altrove, scappa, alle braccia che afferrano, trattengono. Lascio la borsa sul tavolo, prendo il suo telefono e me lo infilo in tasca. Esco dalla porta sul retro, il cielo si è aperto, la strada è bagnata, si sente solo il lento scalpiccio dei miei passi, nessuna macchina, nessuna voce.
Il locale ha mosso parecchia gente, l'inaugurazione è andata bene. Riccardo si ostina a presentarsi in cucina, benché lo abbia invitato a riprendersi i suoi spazi, il suo tempo. Si immerge dentro ogni questione con il suo carico di critiche e lamentele, genera caos, manda in confusione il personale. Forse dovrei lasciargli gestire tutto in autonomia, non resterò qui a lungo, il tempo di definire alcuni dettagli sull'eredità di mio padre e poi potrò ripartire. Vorrei non dover affrontare la sua morte, ma è più di un anno che rimando questo momento e devo chiudere, non posso più aspettare. Le sue proprietà in Italia hanno un peso che inizia ad essere insostenibile.
Il telefono vibra nella tasca dei jeans, non è il mio, è il suo. Un numero non identificato lampeggia sul display, striscio il pollice e rispondo. Gioco con il silenzio che avverto dall'altra parte. Potrebbe essere chiunque, ma la cosa non mi spaventa affatto.
«Pronto?» scandisce piano.
È lei. Lo sapevo.
«Se volevi darmi il buongiorno sappi che sto per andare a dormire» replico.
Un'altra pausa, questa volta più breve.
«Hai qualcosa di mio» precisa.
«Decisamente».
«Mi serve».
«Immagino».
«Rivoglio tutto».
«Anch'io».
«Senti...».
«Fammi capire, tieni più alla borsetta, al cellulare, oppure a quelle splendide mutandine che ho appena messo in tasca?».
La sento sbuffare e allora anticipo ogni eventuale protesta.
«Se domani sera passi al locale prometto di restituirti tutto».
«Va bene».
Riattacca senza darmi il tempo di ribattere.
Guardo la hall dell'albergo illuminata a giorno, cerco la strada vuota alle mie spalle. Il cielo scuro cancella le intenzioni, non so cosa farò in questi pochi giorni a mia disposizione, forse mi prenderò del tempo per stabilire vecchie connessioni, riordinare i ricordi, cancellare spazi vuoti, ormai inutili. Forse deciderò quale sarà la mia prossima meta. Forse proverò ad oltrepassare un altro confine, il suo.

OUTSIDEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora