Fucking special

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DOMINIQUE

Svolta l'angolo a passo spedito, quasi di corsa, sale in macchina senza dire nulla, di riflesso metto in moto. Sembriamo due fuggiaschi che non devono fare rumore. La strada è libera, accelero senza badare ai divieti, scalzo il centro e in un attimo siamo fuori dagli sguardi dei passanti. Mila si accarezza insistentemente le mani, sembra stia rincuorando qualcuno, è nervosa, non mi lascia il tempo di chiedere spiegazioni, si spinge in avanti e cerca un contatto. La sua bocca sul collo manda brividi. Le mani mancano la presa del volante per un breve, brevissimo, istante.
«Com'è che dite voi? Non parlare al conducente?».
«Non ti ci vedo alla guida di un autobus».
«E fai bene. Comunque mantieni le distanze e rispetta i tuoi spazi, il viaggio è ancora lungo».
Si allontana di poco, la testa appoggiata al sedile, mi guarda di sbieco, sbuffa.
«Non ti facevo così autoritario».
Mi volto e ricambio lo sguardo.
«Avvocato, credevo di averle mostrato buona parte di quello che sono».
«Forse non sei stato sufficientemente chiaro».
«O forse tu non sei stata sufficientemente attenta».
«Può essere, ero occupata a fare altro».
Scoppia a ridere, la guardo. Le palpebre socchiuse, le labbra rosse, affilate.
«Mi fa piacere trovarti di buon umore, temevo il contrario».
Mi guarda con aria incuriosita.
«Per quale motivo?».
«Brunori non ti ha detto niente?».
«Di cosa stai parlando?».
«L'ho visto in strada stamattina, quando sei scesa dalla macchina. Era fermo all'incrocio e ci fissava».
Spinge la fronte sulla mano, chiude gli occhi, questa volta li stringe così forte che il viso si increspa dentro una smorfia di fastidio.
«È successo qualcosa?».
Fa una pausa lunghissima e poi alza la testa, ma fissa la strada invece di guardarmi in faccia.
«Niente di importante».
«Lascia giudicare a me».
«Non sei tenuto a giudicare nessuno».
Inclina la testa verso il finestrino e questa volta resta ferma nella sua posizione.
«Mila, fammi capire: c'è qualcosa che sfugge alla mia logica, o sei tu che eviti una parte del discorso?».
«Non siamo nella condizione di doverci fornire delle spiegazioni».
«E in che condizione siamo, mh?».
Non risponde e avverto netta la rottura. Stringo il volante, le nocche delle mani sbiancano e accelero superando un camion, sento i clacson delle macchine che infrangono il silenzio sgranato solo dal rombo del motore. Questi suoi spazi così distinti e così lontani mi innervosiscono. L'ho vista darsi completamente, godere senza limiti e, nel giro di poche ore, imporsi un autocontrollo freddo e distaccato.
Chi diavolo sei, Mila?
Non ci siamo programmati niente per non dover nascondere niente e questa situazione si muove al contrario generando scontri. Brunori è chiaramente uno strumento di potere che su di lei sembra non avere limiti e questo è il pensiero che più mi innervosisce. Prova a sfiorarmi la mano, scalo la marcia e torno al volante senza ricambiare la stretta. Non riesco a mantenere il contatto. Resta ferma a guardarmi, i suoi occhi mi infiammano il cervello.
«Scusami», la sua voce è un sussurro. «L'ultima cosa che voglio è rovinare il tempo che dobbiamo passare insieme».
«Dobbiamo? Ma di che cazzo stai parlando? Non mi sono impegnato prima, figuriamoci ora».
Non mi volto, non la cerco, non voglio farmi depistare.
«Ti prego, Dominique. Guardami».
Accelero un'altra volta e torno in corsia di sorpasso, i movimenti della macchina sono bruschi e non ci provo nemmeno a rallentare.
«Non voglio parlare del mio lavoro, della tua società, non voglio parlare di quello che sta fuori da qui. Voglio solo andarmene via».
La voce è un lamento, un lamento che non riesco a sopportare. Mi volto e la guardo. Le dita giocano con la collana, l'urgenza dei suoi occhi mi indispone. Sposta le ginocchia, non riesco a non perdere la concentrazione, affondo la mano tra le cosce. La macchina sbanda leggermente di lato, rallento. Sento il calore della sua pelle, l'umidità mi sfiora le dita. Spinge in avanti il bacino, allarga le gambe, butta indietro la testa, è chiaro che sarebbe disposta a tutto pur di uscire da questa discussione. Ritiro la mano e torno alla guida.
«Sei mia, ma quando lo decido io».
«Mi stai ferendo inutilmente».
Parliamo senza guardarci, fingiamo di non sentirci. So esattamente cosa sto facendo, so che non è corretto, ma non riesco a farne a meno, non riesco a controllarmi. Ci divide uno spazio di cui nessuno si vuole occupare.
Accendo la radio, alzo il volume e provo a cancellarla dai miei pensieri.
When you were here before, couldn't look you in the eye
Porto gli occhi altrove e lei non insiste, si perde dentro la musica, dentro le sue fottute ragioni. Il mio è un atteggiamento disturbato, fatico a misurare i riflessi.
You're so fucking special, but I'm a creep, I'm a weird
La strada scorre veloce mentre il cielo fuori si fa scuro, cerco il suo viso, ma è girata dall'altra parte, le sue mani sono appoggiate alle gambe. Vorrei avvicinarmi e toccarla, ma conosco l'effetto del suo contatto e devo evitarlo.
She's running out again, she's running out
Allento la presa, sciolgo i muscoli delle braccia, sposto una mano e sfilo una sigaretta dalla tasca della camicia, abbasso il finestrino e l'accendo aspirando appena.
«Tu forse non ti accorgi di quanto impegno ci metti a scappare», parlo piano, butto fuori il fumo.
Sposta appena la testa, si guarda le mani e poi si gira di nuovo dall'altra parte.
«Io non sto scappando da te, Dominique. Non potrei farlo, neanche se lo volessi».
You're so fucking special
Le afferro una mano, bacio il palmo, bisbiglio sulla sua pelle.
«E se non scappi da me, da chi stai scappando, mh?».
Sposta gli occhi, fa una lunga pausa, questa volta però non solleva lo sguardo, resta fissa su di me.
«Scappo da quello che non voglio essere».
L'aria che entra dal finestrino le scompone i capelli, non fa niente per riordinarli, per ripararsi.
«E tu adesso cosa sei esattamente?».
Abbandona la presa della mano.
«Io adesso sono tua e non c'è altro da aggiungere».
È il corpo ad accogliere le parole, non la testa. Siamo noi, il nostro desiderio e la necessità di stare assieme senza porsi alcun limite. Non posso chiederle altro, perché non posso darle altro.
La strada è scura, il suo viso si piega appena sotto l'ombra dell'abitacolo, guido fissando il vuoto davanti a noi. È lì che la voglio portare, dentro quel buio cunicolo che cancella i confini, dove tutto scompare e non sei costretto a cercare niente perché niente ti appartiene.

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