MILA
Riccardo mi ha accompagnata fin sotto l'ufficio. Ha cercato di tenermi occupata sgranando aneddoti di ogni tipo, dall'infanzia al matrimonio, dall'amicizia con Dominique alla sua nuova vita con Elia. Ho riso cercando di apparire serena, quel tanto che serviva per tenerlo lontano da qualsiasi richiesta. Temo le domande, vorrei farle scivolare tutte dentro il buio dei tombini, mi guardano con le loro fauci aperte, terribili, oscuri, pronti ad ospitare ogni paura. E invece no, invece mi tengo tutto dentro, me la cullo in grembo la paura, la sfamo con l'ombra delle donne che, a loro volta, si avventano sull'immagine piatta di Dominique. Chi non cercherebbe di avvicinarlo? Tutto ha una sua logica. Vuole avere il controllo e poi cede le armi, mi lascia sola a gestire una serie di non detti. Navigo dentro l'indecisione di chiamarlo. Guardo il telefono ma non lo tocco, mi impongo di non fare nulla, mi lascio circondare da questo filo spinato di allarmi emotivi, non reagisco. Io e lui in fondo cosa siamo? Io che dichiaro il mio amore e lui che lesina parole ed estrae sospesi. Io che lo cerco tra le onde delle nostre incomprensioni e lui che riemerge sempre scortato da una nuova donna accanto.
Una bava di luce entra nel mio ufficio, rimbalza sul mobile e mi costringe a chiudere gli occhi. Quando li riapro il pc è acceso e le intenzioni pure. Muovo il mouse e clicco sull'icona di Google Chrome. Digito in fretta quel nome che mi lampeggia in testa da ore: Rossella Pratesi. Una cascata di immagini mi scivola davanti agli occhi. Inizio a scorrere rapidamente i piccoli riquadri colorati. La somiglianza è evidente, i tratti spigolosi della mandibola, il sorriso che increspa la guancia con una fossetta, i denti perfetti, gli occhi scuri. L'unica differenza è nei capelli, quelli della madre sono biondi, leggermente ambrati. È una donna affascinante che posa con naturalezza davanti ad ogni fotografo, che si allaccia con forza alle braccia di ogni accompagnatore. Assume posizioni innaturali, una mano su un libro, l'altra rivolta verso il cielo, teatrale, sconclusionata.
I suoi romanzi popolano cataloghi di piccole case editrici britanniche, un solo volume risulta pubblicato in Italia, ma non è più disponibile da anni: Il gigante di pietra. Scavo dentro la sua immagine, la sua storia, le note di chi segnala incontri che la vedono protagonista. Finanzia eventi letterari, accompagna esordienti, si fa carico della creatività altrui con un'affettività a tratti esagerata. Rilascia interviste in cui racconta di altri scrittori come se parlasse di sé stessa. In ogni foto maschera la solitudine afferrando un polso, caricandosi sul gomito di un compagno, ma è lampante la sua reticenza. Forse sono solo influenzata dalle parole di Dominique, dalla sua storia di cui so poco o nulla. Non trovo niente di utile in quello che sto facendo, ogni elemento scivola dentro il mio umore e lo rabbuia ulteriormente. Mi alzo, esco sul corridoio e raggiungo la postazione di Carlotta. Ho bisogno di schiarirmi le idee, di parlare con qualcuno e dare tregua ai pensieri. La scrivania però è vuota, mi avvicino alla finestra, cerco uno spiraglio di cielo tra le nuvole. Fuori, oltre il vetro che mi divide dal resto del mondo, un'ombra violacea ha cancellato il panorama. Avverto il rumore dell'ascensore, le porte che si aprono sul piano, dei passi che si avvicinano cauti alle mie spalle. Mi volto di scatto come se i segnali del corpo potessero annunciare un pericolo e il mio corpo non sbaglia mai, il mio corpo la riconosce perfettamente la paura. Sonia Marchesi si avvicina fermandosi a pochi passi me.
«Cosa vuoi?».
La mia voce esce scomposta, a tratti minacciosa.
«Devo parlarti».
Vattene.
La guardo, provo a capire quali siano le sue reali intenzioni ma non riesco a dedurre nulla, la sua espressione è indecifrabile. Pelle priva di nei, chiara come una lamina di acciaio, occhi scavati dentro una guaina di carne perfetta dentro cui nessuna ruga riesce a delineare un solco. Vorrei scalfirla con un sasso appuntito, spezzarla, vedere il suo cuore bianco, senza grinze, senza spasmi.
«Se è per il tuo giornale puoi andartene subito».
Resta ferma sulla soglia.
«Non è per questo che sono qui».
«E allora cosa vuoi?».
Fatico a riconoscere il mio tono, fatico a riconoscere me stessa.
«Voglio parlarti di una cosa che riguarda Dominique. Prima non mi ha lasciato il tempo di dargli questo».
Quel nome sulle sue labbra candide mi fa scricchiolare la mandibola. Un foglio si apre dentro un ventaglio di pieghe, sono le mie mani tremanti che lo muovono, le mie mani che eseguono un gesto senza che sia stata io a deciderlo. I colori troppo accesi di una stampa macchiata da residui di toner si svelano subito. Una donna mi fissa, seduta come una collegiale in posa, un palmo sul tavolo, l'altro ancorato ad una spalla nuda, appuntita. Le labbra di Dominique, la testa china, questa volta l'urgenza di scardinare ogni dubbio mi precede, muovo passi ordinati, richiamo con un gesto nervoso l'attenzione della donna che vorrei solo mandare via e le indico il corridoio, invitandola a seguirmi. Entriamo nel mio ufficio senza scambiarci neppure uno sguardo, mi accerto che la porta sia chiusa prima di rivolgerle un'ultima definitiva domanda.
«Cosa significa tutto questo?».
Fisso la fotografia che inquadra Rossella Pratesi seduta al fianco di una ragazza minuta, quasi invisibile. Una matassa di capelli biondi la sovrasta dentro una corona di nodi.
«Non lo so».
«Mi stai prendendo in giro?».
Si siede senza che le abbia detto di farlo.
«Ho ricevuto una mail poche ore fa e questo è l'allegato. Non c'è altro, solo questa foto. L'indirizzo del mittente è un codice alfanumerico da cui non ho dedotto nulla. C'era solo l'oggetto della mail: Recherche, Rossella Pratesi. È per l'assurdità del messaggio che ho cercato Dominique, ho riconosciuto sua madre».
«Fammi capire: un uomo ti telefona e tu vai da Dominique, ma non sai fornire nessuna identità. Un'altra sconosciuta presenza ti scrive una mail, torni da Dominique, ma anche qui non sai assolutamente dire chi potrebbe essere. Cosa diavolo vuoi?».
Mi guarda, studia i miei movimenti e poi si appoggia al bordo del tavolo spingendo in aria il mento, scrollandosi dalle spalle i capelli.
«Quindi Dominique ti ha detto proprio tutto?».
«Certo e se sei venuta qui per arrivare ad altro, te l'ho già detto, puoi anche andartene».
Appoggia le mani alla scrivania, non sposta lo sguardo, questa volta si lascia fuggire dalla bocca un sorriso. Sembra un gesto incauto, un movimento sbagliato, ma in realtà sa esattamente cosa sta facendo.
«Spero che tra te e Dominique scorra più fiducia di quanta riuscite a concederne agli altri».
La sua voce è un castigo, il suo tono mi irrita. Giro intorno alla scrivania cercando di cancellarmi di dosso l'angoscia. Si alza, restiamo in piedi, come due guardie pronte a darsi il cambio. Non è molto alta, ma la sua fermezza divora la mia instabilità emotiva.
«Puoi concedermi solo un'ultima domanda? Non riguarda la Giglio, quindi puoi rasserenarti, non ho nessuna intenzione di causarti problemi sul lavoro».
«Parla e poi vattene».
«Come fai ad essere così tranquilla dopo quello che è successo tra me e Dominique? L'ho capito che non sei solo il suo avvocato».
Sgrano gli occhi, il cuore inizia a martellare rapido.
«Cosa vuoi dire?».
«Allora non ti ha detto tutto».
«Di cosa stai parlando?».
«L'altra notte credevo di essere stata chiara, benché ci fossimo entrambi distratti a fare altro». Fa una pausa in cui si prende il tempo di analizzare le mie reazioni che però sono nulle, non ce la faccio neanche a respirare. Sorride e poi riprende cauta.
«Gli ho spiegato la mia buona fede. Mio padre è un dipendente della Giglio, ecco perché mi sono proposta di aiutarlo, ho degli interesse personali che valgono più di qualsiasi altra cosa. Avrà avuto le sue buone ragioni se ha tralasciato la parte più importante del discorso».
L'altra notte. L'altra notte. L'altra notte.
Si alza senza degnarmi di uno sguardo.
«Fermati!».
La mia voce esplode nel silenzio.
«L'altra notte? Quando? Quando vi siete incontrati?».
Si fa seria, tasta la mia ansia, il mio malessere si muove nell'aria come un serpente dalle spire velenose. La sua pelle di plastica lo sfiora, ci gioca, non lo teme.
«Credimi, non ha importanza».
«Lascia che sia io a giudicare».
La guardo di nuovo e questa volta non le tengo a bada le emozioni, le mie ferite sono esposte, aperte come un fiore. Si avvicina di qualche passo, mi osserva dall'alto, la sua statura ormai non ha più importanza, il suo sguardo domina la scena.
«Giovedì».
«Dove?».
Fa una pausa lunghissima, sembra pensare, alza il mento e sospira.
«Al JK. La Penthouse gli si addice in tutto».
Genero pensieri smozzicati, sono disorientata. L'altra notte. In camera sua.
L'evidenza di quelle parole mi appare accecante, come se dell'intera giornata, microevento dietro microevento, tutto andasse ad incastrarsi perfettamente dentro quell'unica rivelazione. Non posso negarmi alla verità per l'ennesima terribile volta.
L'altra notte. In camera sua.
Alzo gli occhi, ho bisogno di sapere tutto, devo sapere tutto. La cerco ma se ne è già andata.
L'altra notte. In camera sua.DOMINIQUE
Parcheggio a pochi metri dallo studio. Mentre salgo a piedi, due gradini alla volta, stringo in mano il faldone nero. È tardi, non ho ancora sentito Mila. Devo mostrarle il verbale, devo parlare con lei. La segreteria è scoperta, attraverso il corridoio, entro nel suo ufficio ed è vuoto. Esco, torno all'entrata, cerco la sua presenza dentro qualche rumore, avverto dei passi alle mie spalle ma so già che non sono i suoi.
«Se cerchi la tua amata, sappi che è sparita più di un'ora fa».
La risata di Brunori mi assale come un animale senza volto, premo il tasto di chiamata dell'ascensore. Mi sforzo di non guardarlo, non voglio cedere alle sue provocazioni.
«Lei è così, prende e lascia in continuazione. È insaziabile».
Appoggio la mano alla parete, presso tutta la mia ira contro il muro. Transita alle mie spalle e mi supera, non resisto alla tentazione, le parole mi rotolano sulla lingua e rimbalzano sul pavimento, sopra le sue scarpe lucide.
«Ora capisco lo schifo che provava quando la toccavi. Puzzi di fallimento». Torna sui suoi passi, è a pochi metri da me quando le porte dell'ascensore si aprono. Dentro i suoi occhi si muove rapida la tempesta. Prova a farsi avanti mentre varco la soglia, scosto il gomito, riesco ad evitare il contatto un attimo prima che le porte si chiudano. I miei propositi, la mia reticenza, la mia gelosia, tutto sconfigge tutto.
Raggiungo la macchina, butto il faldone sui sedili e prendo il telefono. Cerco il numero di Mila, ma a rispondermi è solo la voce della segreteria. Spingo sull'acceleratore e in pochi minuti sono davanti al portone di casa sua. È aperto. Salgo in fretta le scale e suono il campanello premendolo con insistenza. Il sudore mi scivola lungo la schiena, mando fuori l'aria come una manciata di chiodi. Sara si insinua tra il mio bisogno di vederla e il vuoto alle sue spalle. Sposta gli occhi, evita il mio sguardo.
«Cosa vuoi?».
La costringo a farsi da parte, barcolla e scivola di lato mentre attraverso il corridoio che porta alla camera. La stanza è buia, ci metto qualche secondo per abituarmi al cambiamento di luce. Il suo corpo è riverso dentro il materasso, le gambe nude sono piegate, le mani aperte sul cuscino. La raggiungo, sono sopra di lei, le afferro il viso e la costringo a voltarsi nella mia direzione.
«Cosa cazzo è successo?».
Mi piego contro la sua faccia, sento la pelle umida, i capelli incollati alle labbra.
«Mila, cosa hai fatto, mh?».
È davanti a me, nel buio vedo il fuoco degli occhi e l'immagine chiara della devastazione.
«Cosa cazzo hai fatto tu? Non io! Tu e quella maledetta giornalista!» sposta in avanti il peso e si tira su. «Posso aver accettato tutto, tutto quello che mi hai proposto, ma non questo» fa una pausa in cui manda giù un boccone d'aria e poi riprende più spedita di prima. «Hai ragione, sai? Hai ragione a trattarmi come una puttana! Guardami! Mi lascio scopare dal primo che passa, accetto regali, mi sfamo di mezze promesse e poi? Poi spero persino che mi tengano, che si affezionino in qualche modo! E invece no! Alla fine tutti se ne vanno! E allora, ti prego, vattene anche tu! Ma non aspettare domani, fallo subito. Sparisci per sempre dalla mia vita!».
L'ira si esaurisce in un lamento. I capelli riversi sulle mani, gli occhi risucchiati dal vuoto. Questa rinuncia alla comprensione mi impedisce di parlarle, non riesco a trovare un solo gesto in grado di riportarla indietro. La guardo mentre va in bagno e chiude la porta. Sento scorrere l'acqua, sento il silenzio che si apre come una ferita che ha deciso di sanguinare, da sola, senza sollecitazioni. Il letto accoglie il mio peso, la mia noncuranza, i suoi sentimenti persi dentro un pianto che non so arginare. Sono impotente davanti a tutto questo, proprio come ero impotente davanti alla sofferenza di mia madre. Allora ero schiavo dell'innocenza, ora sono piegato sotto il peso di un'incuria che riconosco e non so gestire. La porta si apre, il suo corpo resta in attesa, mi guarda e il buio sembra essersi tramutato in luce. Vedo ogni sfumatura della sua pelle, il contorno sottile dei vestiti. Mi alzo e la raggiungo.
«Sonia è venuta da me, ma credimi, non è andata come pensi».
«Tu non lo sai cosa penso».
Resto a un passo da lei, non oso toccarla.
«E allora dimmelo! Dimmi perché cazzo stai così?».
«Perché ti amo ed è un problema! Perché ti amo e non sai cosa fartene!».
Stringo i pugni, una scossa smuove il mio corpo sbrecciato. Da ogni fessura esce l'amore che mi riversano dentro, lo disperdo, non riesco a trattenerlo, è così da prima. È così da sempre. Allungo una mano verso il suo viso, evita la mano e si sposta di lato.
«È meglio se te ne vai».
«Mila».
«Vattene!».
Cerco i suoi occhi, ma sono già lontani. Scivola dentro l'oscurità del suo cuore e non la vedo più. È un sospiro quello che avverto un attimo prima di voltarle le spalle, e non è il suo.
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OUTSIDE
Roman d'amourOutside è il primo episodio della serie "Side of Love". Mila, giovane avvocato di Firenze, lavora presso lo Studio Bollani-Innocenti e vive una travagliata relazione con uno degli avvocati dello studio. A un concerto degli Staind incontra Dominique...