L'Amore è un duello

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MILA

«Mamma?».
«Ciao amore, sto arrivando a Firenze. Sarò da te tra meno di un'ora».
«Mamma, sono occupata».
«Stasera ceniamo insieme».
«Stasera non posso».
«Hai tutto il tempo per disdire ogni impegno. Devo parlarti di una cosa importante».
«Non posso, mamma. Me ne parlerai quando arrivi, ma poi dobbiamo salutarci».
«Non si discute, Mila. Stasera la passi con me. Sono mesi che non ti vedo e tutta questa strada fatta per stare con te me la devi».
Riattacca e io resto immobile ad osservare la finestra. Non posso evitarla, ha ragione, ha tutto il diritto di pretendere le mie attenzioni.
Questa mamma, così bella, così adatta. Ti amerà, ti curerà.
La sua mano mi ha cercata per tanto tempo. Ho amato quegli occhi, ho amato quel sorriso, quei denti perfetti, quell'odore di buono quando io invece non odoravo di niente. Ho amato e ancora amo il nostro stare sedute in silenzio, quando si ricorda di non parlare, quando la pace ci accoglie dentro una specie di cerchio che non si chiude mai.
Mi siedo, prendo il fascicolo della società, sfilo il nastro rosso, appoggio la fronte al palmo della mano, sbuffo. Devo concentrarmi, non sono più una ragazzina e questo lavoro non è un passatempo. Butto gli occhi dentro i fogli che ho portato via dall'ufficio di Marco, abbozzano una situazione aziendale piuttosto critica. Il legale rappresentante è una donna: Rossella Pratesi. La madre di Dominique.
Trovo la giusta concentrazione e mi immergo nella lettura di ogni passaggio, prendo nota dei dati che risultano subito fondamentali, seguo attentamente la deriva di ogni conto. Finalmente riesco a rilassarmi, la mente si svuota, ritrovo di nuovo la mia dimensione mentale, la capacità di non lasciarmi travolgere dalle emozioni. Amo il mio lavoro, non ho dispersione di energie e tutto quello che genero ha un senso e una logica.
Il telefono vibra, è Dominique, spingo fuori un respiro e rispondo con un sussurro.
«Ciao».
«Sei sola?».
«Sì».
«Il nostro tempo scorre, Mila».
«Lo so. Ti avrei chiamato».
«Non mi devi alcuna giustificazione. So molto bene che sto togliendo spazio al tuo lavoro».
«Non è questo. Tu non mi togli niente. È solo che...».
Non riesco a parlare. Vorrei correre da lui, ma non posso. È in attesa. Non parla.
«Stasera non ci possiamo vedere. Arriva mia madre e, credimi, non ho altra scelta».
«Capisco».
La sua voce mi piega sotto il peso delle continue richieste del mio corpo, del suo intento. Sto per dirgli che mia madre può aspettare, che non è vero che non ho nessuna possibilità perché le possibilità si creano, che lo voglio, esattamente come lo vuole lui, ma mi anticipa un'altra volta ancora.
«Sarò sotto casa tua domani mattina, alle nove. Buona serata, Mila».
Non aspetta una replica, riattacca. Quest'uomo è una dannazione, è innegabile ed è altrettanto inutile sottolinearlo.
Tengo la testa dritta, fisso la finestra per un tempo che non riesco a definire, la mano protesa verso la porta, le dita strette attorno alla penna. Arranco dentro desideri che so benissimo di non poter gestire e rifletto su Dominique con un'esaltazione che, in altre situazioni, addosso ad altri uomini, avrei anche potuto definire fuori luogo.
Sento bussare, il colpo della porta contro lo stipite mi distrae, alzo il mento, libero la faccia dalle mani e vedo mia madre. Attraversa la stanza con quella sua pelle abbronzata e i capelli corti, mossi da qualche onda scura che le carezza le tempie. Le gambe nude scendono sotto la gonna bianca che le fascia i fianchi. Si toglie gli occhiali da sole e mi offre il suo sguardo sereno. Occhi neri, occhi pieni. Mi alzo e l'abbraccio. Il suo profumo è ovunque. La stretta mi restituisce tutta la tranquillità che mi mancava. È lei il mio punto fermo che, per quanto soggetto a continui terremoti emotivi, non mi fa mai tornare indietro.
Si avvicina, mi guarda per qualche secondo e mi prende la mano.
«Hai mangiato? Sei pallida. Stai bene?».
«Sto bene, ma ho parecchio lavoro da sbrigare».
«Scusami. Lo so, sono arrivata troppo presto».
«No, mamma, sei arrivata nel momento giusto. Credimi».
Un'ombra si allarga alle sue spalle e quando la metto a fuoco il profilo di Marco mi sembra già troppo grande. Il cuore mi precipita dentro lo stomaco, il fiato sbatte sui denti.
«Signora Gori, buongiorno».
È una stretta di braccia e costole quella che li unisce. Vorrei trascinarla via, dirle di non toccarlo, di non parlargli, ma non posso. Si conoscono da qualche anno e non riesco a tenerli lontani, persino mia madre, così composta e regale, è soggetta al medesimo fascino.
«Marco! Come stai?».
«Benissimo, grazie. E a quanto pare lei più di me, oggi è splendida».
Afferro la borsa dalla scrivania, mi aggrappo al gomito di quella donna che ride, muove gesti disordinati e la spingo bruscamente verso la porta.
«Andiamo».
Marco mi prende un polso costringendomi a rallentare. Sembra un percorso ad ostacoli questa partenza. Vorrei scansarlo, ma a volte l'educazione che i miei genitori mi hanno inflitto ha la meglio, si mangia le parole che vorrei dire, e di colpo mostro labbra aperte, ma mute, una botola dentro cui sono destinata a cadere.
«Mila, scusami, volevo solo sapere se sei riuscita a prepararti per domani. Non mi hai più chiesto nulla e Bollani tiene molto a questo caso».
Mi volto, non abbasso lo sguardo, gli infliggo tutto il mio disprezzo spostando in aria la mano, spingendo indietro il suo profilo così ben piantato a terra.
«So cosa fare. E adesso, se non ti dispiace, dobbiamo andare».
Uscendo sbatto contro lo stipite della porta, non mi volto, non gli chiedo scusa. Mia madre lo saluta nervosamente. Io sono già all'ascensore quando la sento arrivare di corsa, entro e lei mi segue come un cagnolino dai passi corti.
«Sei stata sgarbata con Marco. Si preoccupa per te».
«Non ti intromettere!».
Abbassa gli occhi in fretta e non aggiunge altro. Il senso di colpa mi assale, non riesco ad abbandonarla dentro un inutile silenzio, non riuscirei a lasciarla in nessun luogo sconosciuto di questa terra. Mi ha raccolta, mi ha curata, lei solo sa perché io sia giunta fino a qui.
«Scusami. Sono solo un po' in tensione per il lavoro. Non è colpa tua».
Quando usciamo in strada mi stringe la mano, il cuore si gonfia, galleggia, torna nuovamente al suo posto.

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