DOMINIQUE
La vetrina è attraversata dal sole, la fisso da più di un'ora senza muovere un muscolo. I camerieri mi ronzano attorno e nessuno osa rivolgermi la parola. È il profilo di Bollani a recuperarmi dal fondo dei pensieri come una lenza strattonata con forza. Entra nel locale e mi fissa come se faticasse a ricordare il mio nome. Le mie azioni si bloccano improvvisamente, non riesco a percepire la sua presenza, lo guardo come se mi trovassi davanti al vuoto di una visione. Senza la sua scrivania, le sue mura a dargli un confine sembra persino diverso. Gli occhiali infilati nel taschino della giacca, i capelli grigi scomposti, la rigidità della sua figura spiegazzata da una gestualità terrena. La sua mano mi cerca, giro attorno al bancone del bar e la accolgo con una stretta. Non parliamo, lo scorto verso la sala vuota. C'è una nuova premura nei suoi gesti. Ci sediamo. Le sue dita si intrecciano lentamente, sorride.
«Signor Gibrain, sono qui per dirle che possiamo considerare nulle le accuse contro sua madre».
Spingo in avanti le mani, abbraccio il tavolo con i palmi aperti e lo guardo con aria interrogativa.
«Ho ricevuto questo» la sua voce accompagna un fascicolo di fogli che estrae dalla borsa appoggiata alle caviglie, sembra un'illusionista che fa scivolare oltre il cilindro cose mai viste prima. Prendo i fogli, incrocio il viso di mia madre, scorro rapidamente le poche righe che parlano di lei, metto a fuoco la data e alzo gli occhi con un nuovo entusiasmo addosso.
«Era quello che speravo. Come avete fatto?».
Prende una penna stilografica dalla borsa, ci gioca, inizia a farla ruotare.
«Mila ha recuperato ogni cosa».
Sorrido senza stupore.
«Dovrò ringraziarla personalmente».
La penna scivola oltre le dita, i suoi gesti si fanno lenti, scoordinati. Mi guarda dal basso, a lungo, schiude gli occhi come dentro a uno sforzo e sospira. Si piega di nuovo, come a dover prendere qualcosa ed estrae dalla borsa il raccoglitore nero.
«Era Russo che scriveva i verbali».
Alzo una mano e interrompo la sua spiegazione.
«So già tutto. Ho portato io gli originali a Mila».
Incrocio i suoi occhi che si increspano, sembra stia per sorridere ma non lo fa.
«Allora saprà anche che dovrò chiarire come si possa essere arrivati a una versione diversa. Naturalmente parlo del verbale che le ho mostrato l'altro giorno».
Mi alzo, sfilo una bottiglia da uno degli scaffali e torno al tavolo. La sua mano si apre nell'aria come un monito.
«La ringrazio, ma non bevo».
Torno a sedermi e lo guardo.
«Invece mi sembra tutto piuttosto chiaro».
«No, non c'è niente di chiaro».
«Dov'è Mila?».
Si spinge indietro, sprofonda dentro la sua immagine e mi guarda di nuovo mostrando un cenno di comprensione paterna.
«Potrà convenire con me sul fatto che sia più sicuro tenere Mila lontana da tutto questo. Ci sono troppi coinvolgimenti personali e la nostra professione non concede permessi».
I suoi occhi parlano più delle parole. Tutte le informazioni di cui è in possesso raggruppano più elementi e tra questi elementi compare anche Mila, compariamo tutti, a turno, come dentro un'assurda messa in scena.
«E Brunori?».
«Anche lui è stato allontanato dal caso».
«Brunori non deve essere allontanato dal caso. Brunori deve essere allontanato dallo studio».
Rastrella con le dita i documenti e li spinge dentro la borsa. Alza la testa e si solleva.
«Posso comprendere il suo astio e sono il primo che pretende chiarezza, soprattutto in virtù della mia professione, del luogo in cui mi muovo, delle persone da cui mi lascio accerchiare. Però non credo che questo la debba riguardare personalmente, non ora almeno. Sono venuto solo per darle le informazioni che mi aveva chiesto. Ci potremmo aggiornare nelle prossime settimane. Ora, se non le dispiace, torno al mio lavoro».
È risoluto, non riesco a percepire le sue intenzioni, non so cosa sia accaduto e posso solo prendere coscienza del fatto che non è a lui che devo chiedere chiarimenti. Lo accompagno fino alla soglia del locale e il mio sguardo lo segue per qualche metro oltre la strada. Torno dentro e provo a chiamare Mila. Il telefono suona ma non risponde.
Il suo cuore è cristallo puro.
Dovrei chiamare mia madre, tranquillizzarla, ma non riesco a non farmi attraversare da tutta un'altra cerchia di emozioni. La sua vita così diversa dalla mia, i nostri intenti, tutto quello che non ci siamo detti e tutto quello che non le ho concesso.
Riccardo entra e mi guarda, l'automatismo che lo rende incline al sorriso si inceppa.
«È successo qualcosa?».
«Mia madre è fuori da ogni accusa».
«E allora perché quella faccia?».
Mi avvicino al divano e ci inciampo come se volessi lasciarmi cadere.
«Perché adesso posso partire».
Si siede.
«E tu vorresti farmi credere che vuoi partire? Magari domani? Magari senza Mila?».
Si passa una mano tra i capelli e mi guarda.
«È inutile, Riccardo. Non funzionerebbe. Lo sappiamo entrambi. Non sono stato educato all'amore reciproco e non so cosa sia il sacrificio, se non in termini di sofferenza. Mila ha già subito troppi cambiamenti per colpa mia. Ho invaso la sua vita, il suo lavoro, ogni spazio è stato raso al suolo dalla mia presenza. Credi sia felice, ora? No, non lo è».
«Ma non c'è stabilità Dominique, questo è il punto. Una casa si riempie se ci vai a vivere, ma finché ti accontenti di guardarla da lontano ti sembrerà sempre vuota».
Mi alzo, prendo il telefono e provo a chiamarla di nuovo. Suona, ma non risponde.
«Non c'è un punto d'incontro e non ci sarà mai una casa».
«Lo stupore diventa amore, amico mio, ma solo se lo coltivi».
La sua mano si aggrappa al mio braccio, sembra non volermi lasciar andare, sembra saperlo che comunque non sarà lui a trattenermi.
Lo guardo allontanarsi, vorrei tornare indietro, esorcizzare il passato. Attraversare Firenze, le sue geometrie perfette, abbandonare i ricordi, ricominciare. Confondermi tra la gente, incontrare Mila, sciogliermi dentro il suo corpo, sfamarmi di soluzioni impossibili. Desiderarla. Meritarla. Renderla mia, definitivamente mia.MILA
Torno a casa a piedi. Il telefono squilla, non rispondo. Passo dove siamo passati, nel vicolo, guardo il muro, lì in mezzo c'ero io. Adesso a terra ci sono solo delle sigarette spente, un fumo andato che non ritorna. Percorro la strada al contrario, recupero le vie, i passi, la calma. Mi siedo su una panchina e fisso la piazza, la sua griglia di persone che si incrociano. Il passato le interroga? Le assilla? Forse no. Il mio invece sì, è tornato.
Un bambino spezza l'ordine, inizia a correre, supera i margini, raggiunge la strada. Il padre lo segue, lo afferra, lo scuote, il braccio sembra di pezza, la testa sembra di legno. Una donna arriva, lo solleva, lo bacia, lo porta via. Le azioni vanno scandite, una ad una, con gli occhi, col cuore. I gesti rimangono, quando si è bambini tutto lascia traccia, tutto rimane. Gli errori te li ritrovi addosso dopo, come cicatrici che nessuno ti aveva insegnato a gestire. Vorrei smettere di ricordare, ma le voci tornano a galla, sono giorni che non me ne libero. Tutte queste parole non me le scuce di dosso nessuno.Lasciami!
Io sono per le soluzioni invisibili, per i rimpianti, sono sempre stata così, ho sempre creduto di essere così. Oggi ho preso una decisione che non prevedeva ostacoli, oggi ho giocato senza conoscere per intero le mosse. Ho puntato tutto e ho perso tutto. Io sono due Mila e oggi la seconda, quella che credevo solida, sempre nel giusto, si è lasciata abbattere dal piglio oscuro di chi la voleva cancellare.
Mi rialzo e riprendo a camminare. Dal centro della piazza volto lo sguardo, rivedo quella donna, quel suo capo chino, i capelli neri chiusi dentro la felpa. Quella mano aggrappata alla giacca di un uomo che armeggia con una sigaretta. Il fumo che sale, la mano che scende. Si separano. Il bambino non c'è più. Forse non sono gli stessi di prima.Mi fai male! Lasciami.
Mi fermo ogni dieci passi per riposare, mi manca il fiato. Cosa ho fatto? Per chi l'ho fatto? Per Dominique? Per quella che sono diventata? Per quella che volevo liberare?
Il Duomo domina di colpo, maestoso, un corpo freddo dove la gente trova riparo. Mi si asciugano gli occhi a forza di guardarlo, brucio dentro ogni ricordo. Questa vita era la mia salvezza, non l'altra. L'altra era tempo andato, sofferenze chiuse, gente morta, paure sigillate. Questa vita era dedizione, chiarezza, potere, straordinarietà, controllo. Tutto è crollato sotto il tocco sapiente delle mie mani.Mila chiama aiuto! Vai! Corri!
Quella voce mi perseguita da giorni. Quella voce era della mamma. Forse dovrei smetterla di espiare. La sento ancora così vicina che posso illudermi sia viva. Dopo di lei è arrivata Caterina, l'altra madre, ma non è mai stata abbastanza, non è mai stata lei.
Scappa Mila! Scappa!
Avevo sette anni. Lei chiedeva aiuto e io scappavo, correvo e non cercavo nessuno. Scappavo e basta. E anche lui scappava, con i suoi occhi azzurri, grandi come i miei, nella direzione opposta. Furioso e spaventato mio padre l'aveva uccisa e poi se n'era andato a morire altrove come fanno certe bestie malate. E intanto io piegavo la testa dentro lo scatolone, cercavo il buio. E intanto lui saliva in macchina, scorticava la pelle contro i sedili, si lavava via il peccato, si lavava via il dolore. E poi basta. Poi si resta soli e da quella solitudine non si guarisce mai.
Papà?
Devo sparire un'altra volta, come quel lunedì, quando il sole moriva dietro una nuvola, i grilli muovevano l'aria e papà suonava il citofono e mamma apriva e io guardavo la televisione con un biscotto in mano e quelle finte luci azzurre mi riempivano il cervello mascherando completamente il pensiero di morte che stava entrando in casa.
Corri Mila! Corri!
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OUTSIDE
RomanceOutside è il primo episodio della serie "Side of Love". Mila, giovane avvocato di Firenze, lavora presso lo Studio Bollani-Innocenti e vive una travagliata relazione con uno degli avvocati dello studio. A un concerto degli Staind incontra Dominique...