MILA
Sposto un braccio tra le lenzuola fredde, i rumori che avverto non generano risposte. Mi sollevo pesantemente, raccolgo dalla sedia una maglietta e sfilo davanti alla porta rimasta aperta, c'è una strana penombra che popola l'appartamento. Interrogo l'orologio e vedo che sì, è presto, ma non così presto da poter giustificare l'assenza del sole. Raggiungo la cucina, scalpito dentro un'attesa che temo non verrà comunque soddisfatta. Le scarpe di Sara sono davanti alla porta, sta ancora dormendo. Di Dominique non c'è più traccia, se n'è andato. Metto su la moca del caffè per tenermi occupata, le mani mi tremano, il nodo in gola si gonfia. Prendo l'Iphone, il display si illumina, tra le dita mi appare una foto nuova, mai vista prima. Ci sono io, addormentata, ignara di quell'incursione e poi ci sono le sue braccia a sostenermi, legarmi, farmi sua. La notifica di un messaggio lampeggia, è lui, ancora lui.
Non potevo restare.
Appoggio il mento alla mano, ho lo stomaco chiuso, non riesco a mangiare. Prendo il caffè e lo butto nel lavandino. Ogni azione mi manda altrove, più trovo segnali di condivisione, più la mia mente si ritrae. Perché non è rimasto? C'è qualcosa che non riesco a capire, qualcosa che mi sfugge in continuazione. Torno in camera, mi lavo in fretta e provo a truccarmi ma le mani mancano ogni contatto, fatico a coordinare gesti, azioni. Ripenso alla notte passata, al suo corpo che si sfama, che pretende, alla mia volontà che cede tutto e il fiato mi manca, l'aria si fa liquida. Vado alla finestra, guardo fuori, piove. Apro l'armadio e afferro un paio di pantaloni neri, li scrollo come se volessi allontanare un fantasma. Li indosso, ma un attimo dopo li deposito nuovamente sul letto. Mi siedo. Non so neppure io cosa voglio. Alzo gli occhi, mi osservo dentro lo specchio e realizzo che tutta questa finzione mi ha stancata. Non voglio essere messa da parte, non voglio termini, condizioni, neppure regole. Io non posso sparire, io continuo ad esserci anche se gli altri fingono di non vedere.
Tutti cercavano la bambina, tutti urlavano il suo nome. Tutti pensavano che quella scatola fosse vuota, ma dentro c'ero io, il mio nome, il mio cuore. Non potevo essere messa da parte allora e non accetto di finire in un angolo adesso.
Mi fisso i palmi delle mani, le linee che come fiumi in piena trasportano il sudore. Vorrei poterci leggere un futuro e invece è solo il passato che torna, solo una storia andata che si ripropone e sembra non risolversi mai. Torno verso l'armadio e pesco a caso un paio di pantaloni verdi e una camicia nera. Mi infilo le scarpe ed esco. Cerco l'ombrello ma non lo trovo, allora chiamo un taxi.
Non ho intenzione di perdere altro tempo rincorrendo insicurezze. Oltre il finestrino la luce si perde, il cielo è scuro, il giorno si è ribaltato. La strada è sommersa dall'acqua. Aspetto seduta, appoggiata al finestrino che mi protegge da un temporale, quello fuori, perché dentro ormai non trovo riparo. Passo un dito sul vetro, disegno una riga, la traccia netta di un confine. Non posso annegare ora. Più tardi, forse. Domani, magari.
In pochi minuti sono sotto l'albergo, scendo in fretta e attraverso la strada, i capelli si bagnano, la pioggia sulla pelle sembra fatta di spilli. Chiamo l'ascensore, cerco il badge nella borsetta e inizio a salire. La luce che illumina gli specchi mi cade addosso come una cascata di gelo. Sembro avvolta dalla brina, il mio cuore non scalda a sufficienza per cacciare via il freddo. Chi ho creduto di essere in tutti questi anni? Un'illusa che non riesce a fare i conti con quello che nasconde? Il mio segreto spinge per uscire, ma nessuno sembra badarci, io per prima fingo di non vederlo.
Le porte si aprono, il tavolino è apparecchiato per due. Lo sento parlare in camera, ride, non è solo e questo pensiero mi fa sbandare. Possibile che tutto questo stia accadendo veramente? Possibile che si sia preso tutto il mio mondo per poi scappare senza nessuna premura nei miei confronti? Possibile che io non posso bastare a nessuno? Questo pensiero mi strazia, le lacrime salgono fino agli occhi, scivolano oltre le ciglia, con una mano le spingo via dentro l'umidità dei capelli. Mi ero illusa fosse così, mi ero costruita in testa un mondo, l'ennesimo mondo finto, irreale. La rabbia preme sulle mani, mi avvento sulla porta e la apro con l'impeto di un corpo che non sa darsi tregua, che cerca una rivincita, un'assoluzione qualsiasi.
È in piedi davanti alla finestra, al suo fianco c'è un uomo. Si voltano entrambi, mi guardano. Vorrei sparire, questo penso quando realizzo che non dovevo superare il confine, che dovevo continuare a restare nascosta. È l'altro a farsi avanti per primo, mi porge la mano mostrando una confidenza che fatico a sostenere.
«La bella Mila! Piacere, io sono Riccardo».
Ricambio mollemente la stretta ma non riesco a parlare, ho la lingua incollata al palato. Dominique è serio, mi raggiunge, appoggia il palmo caldo al centro della schiena, mi spinge di nuovo verso l'altra stanza con le risate di uno sconosciuto che ci seguono, inopportune e fastidiose. Si avvicina al tavolo, mi versa un bicchiere di succo di frutta e mi invita a bere. Continua a fissarmi, non dice niente e questa cosa aumenta il mio malessere.
Riccardo si appoggia allo stipite della porta, ci guarda incuriosito.
«La vostra scarsa loquacità giustifica tutto il sesso che riuscite a fare».
Dominique abbandona la presa, lo spintona verso l'ascensore e per la prima volta si lascia fuggire dalle labbra un sorriso.
«Adesso puoi andare».
Riccardo si divincola infastidito.
«Ma tu l'hai capito quanto è stronzo? No, perché se non hai ancora le idee sufficientemente chiare ti invito a ragionare con me sulla questione. Questa sera, a casa mia! Siete entrambi invitati. E, sia chiaro: non accetto un rifiuto».
Lo vedo sparire dietro le porte dell'ascensore, di riflesso mi alzo come se dovessi seguirlo. Dominique mi afferra per i fianchi, trascina il peso di entrambi verso la finestra.
«E adesso dimmi perché sei venuta a cercarmi. Non che mi dia fastidio, sia chiaro, solo che credevo di averti soddisfatta a sufficienza stanotte».
Mi bacia la mandibola, sfiora l'orecchio con il naso.
«Te ne sei andato».
Interrompe ogni contatto, alza la testa e mi guarda senza lasciar trapelare alcuna emozione. Stupore, fastidio, meraviglia, qualsiasi cosa andrebbe bene e invece mi trovo davanti un muro di indifferenza. Non un lampo negli occhi, solo oscurità.
«E quindi?».
«Perché?».
«Perché cosa?».
«Perché te ne sei andato? Perché non sei rimasto?».
Sono cosciente dell'assurdità delle mie richieste ma non riesco a fermarmi in tempo, non riesco a trattenere il furore, l'angoscia, tutto quello che ho dentro preme per uscire e io non faccio niente per impedire che accada. Si allontana di qualche passo pur continuando a guardarmi.
«Fammi capire, pensi che se dormiamo assieme cambierà qualcosa?».
Le sue parole sono affilate e mi affondano dentro. Sbatto contro lo spigolo del tavolo, mi allontano in fretta, raggiungo l'ascensore e spingo il tasto di chiamata. Mi sento afferrare per il polsi, forza il movimento delle mani e mi infila un braccio sotto le gambe sollevandomi da terra.
«Piantala di scappare».
Raggiunge la camera da letto e mi deposita tra le lenzuola. Appena sposta il peso del suo corpo dal mio torno ad alzarmi in piedi.
«Siediti».
Non lo ascolto, non mi muovo.
«Ho detto siediti!»
Continuo a fissarlo senza dargli ascolto. Respingo le sue mani una, due, tre volte, fisso la sua espressione accigliata, il corpo che si sovraccarica di ordini, di intenzioni.
Mi afferra la faccia e mi spinge in bocca la lingua, non riesco a resistergli, proprio non ce la faccio a mantenere le forze salde al corpo, tutto sfuma, si smargina, perde struttura. Mi aggrappo alla maglietta, gliela sollevo, temo di cadere e poi gli sono addosso. Mi sfila la camicia dalla testa, mi abbassa i pantaloni. Si allontana appena e poi spinge la fronte contro la mia.
«Siediti».
Le mie gambe si flettono appena, sono appoggiata al bordo del letto, respiro velocemente. La pioggia batte sulle finestre.
«Se sei nei paraggi non ragiono ed è una cosa che non posso concedermi Mila, mi capisci? Lo so che mi capisci, quindi smettila di fare la ragazzina».
Butto indietro la testa e mi passo nervosamente una mano sugli occhi.
«Scusami».
Continuo a chiedere scusa, a scivolare dentro ripetuti sensi di colpa. Affondo tra le lenzuola spinta dal peso del suo corpo che mi sovrasta.
«Non devi scusarti, vorrei che ogni mattina fosse esattamente così».
Sollevo le braccia sopra la testa mentre si abbassa i pantaloni e mi entra dentro, subito, senza attese. Lo voglio ostinatamente, non riesco a stargli lontana, non riesco a non desiderarlo in questa misura assurda. Le sue mani cercano le mie, i movimenti del suo bacino sono secchi, mi tocca dentro e ad ogni stoccata il piacere si smuove in profondità. Butto in avanti la testa. Perdo il controllo del mio corpo e inizio a chiamarlo, a scongiurarlo, a gemere di un piacere che mi sembra persino insopportabile. La voce mi libera da qualsiasi pudore e l'orgasmo mi esplode dentro risucchiandomi completamente. È allora che lo sento, il viso nascosto tra i miei capelli, la bocca appoggiata all'orecchio.
«Ancora Mila. Dillo, dillo ancora. Non smettere di chiamarmi».
Ha la voce roca, è al limite. Sollevo il bacino, abbandono le braccia tra le lenzuola e continuo a gemere contorcendomi sotto di lui. Viene senza togliermi gli occhi di dosso, un verso, un sospiro, un lamento.
«Cosa mi stai facendo, Mila? Cosa?».
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OUTSIDE
RomanceOutside è il primo episodio della serie "Side of Love". Mila, giovane avvocato di Firenze, lavora presso lo Studio Bollani-Innocenti e vive una travagliata relazione con uno degli avvocati dello studio. A un concerto degli Staind incontra Dominique...