DOMINIQUE
Il bagaglio è arrivato. La luce oltre la vetrata mi cava gli occhi, trascino la valigia verso l'uscita, è piena di ombre, impronte che il mondo le ha inciso addosso. Ho gesti nervosi, scarico energia ovunque. L'aria condizionata mi preme sulle braccia mentre cerco un varco per superare la porta. Il caldo mi piove addosso come una tunica pesante, fatico a respirare, l'umidità moltiplica il peso. Mi dirigo verso un taxi, carico la valigia nel bagagliaio anticipando i gesti di un uomo che mi guarda senza parlare. Salgo in macchina e lo aspetto mentre rientra, si volta e resta in attesa un secondo prima di mettere in moto e ripartire. La strada è densa di traffico, la mattina il caos fermenta per poi scemare verso sera. Mi porto una mano sugli occhi, li stringo appena sotto la presa dei polpastrelli umidi. Sono stanco. Ho viaggiato tutta la notte. Non ho dormito, non ho smesso di pensare a quello che stavo facendo, al mio cambio di direzione. Non ho dubbi, non più.
Santa Maria Novella mi scivola davanti al naso, proprio come un mese fa. Non sono io alla guida, non sono io che decido come calibrare la velocità di questa nuova percorrenza. Sono io che scavalco il desiderio e lo trasformo in necessità.
Non l'ho chiamata. Non mi ha chiamato. Il silenzio è rimasto l'unica unione. Continuavo a pensarla, anche dopo essere stato con altre donne. Dopo il lavoro, mentre mi spingevo dentro un altro corpo, mentre cercavo di consumarmi per intero, era la sua pelle che immaginavo allacciata alla mia. Gli altri odori mi disturbavano, negli altri gesti non trovavo risposte. Ho retto poche settimane. Settimane in cui mi sono imposto di essere paziente, di manovrare la mia vita con gli stessi automatismi di prima. La cecità mi ha abbandonato dopo una notte di incubi. Ho aperto gli occhi, ero convinto fosse lì al mio fianco. I suoi capelli dispersi dentro il cuscino, la sua bocca socchiusa e invece non c'era e il pensiero del suo corpo altrove, mi ha spinto indietro. Il mio modo di ragionare ha fatto un'inversione di marcia dentro cui fatico a non perdere il controllo, torno a Firenze ed è come entrarci per la prima volta.
La macchina si ferma. Pago, prendo la valigia e scendo. Il portone del palazzo sembra più grande. Una donna apre la via, l'impermeabile rosso supera la soglia, afferro il buio alle sue spalle ed entro. Lascio la valigia all'entrata e salgo a piedi, di corsa. Un'altra volta di corsa. Voglio sentire la durezza di ogni gradino, voglio darmi il tempo di avvicinarla, di ragionare sulla dimensione nuova dentro cui non posso più permettermi di sbagliare. Il suo dolore è il mio e non si amministra, si cura. Spingo il dito sul campanello e resto in attesa. Gli occhi di Sara si aprono dentro uno sguardo indecifrabile.
«E tu cosa diavolo ci fai qui?».
Mi sforzo di sorridere.
«Posso entrare?».
Si spinge di lato e mi lascia passare.
«Non c'è».
Mi volto e la guardo mentre si siede sul divano. Alza gli occhi e mi scruta inquieta.
«È al lavoro?».
«No».
«Dov'è?».
«Non lo so».
Mi spingo in avanti e la guardo mentre con una gamba sposto il tavolino e mi siedo al suo fianco.
«Cosa vuoi dire?».
«Cosa doveva fare? Stare qui a piangere?».
«Ma dov'è andata? Tornerà. Ha un lavoro. Ci sei tu».
Le sue mani si appoggiano agli occhi, sembra volersi nascondere.
«Ha lasciato lo studio. Ha lasciato l'appartamento. Mi ha detto che doveva andare, che non ce la faceva a stare qui. Non lo so se tornerà, non lo so, credimi. Non l'ho mai vista così. Ha persino mandato un furgone che si è portato via tutto. Non c'è più nessuna traccia di Mila qui. Niente».
Si stropiccia un'altra volta le palpebre e cerca di mandare indietro il pianto. Prendo il telefono e lo guardo, è uno sguardo ingenuo il mio, è l'urgenza di capire che mi spinge a cercare il suo numero.
«È inutile. C'è la segreteria».
Alzo gli occhi in risposta a quest'ultima crudele indicazione.
«Perché sei tornato? Cosa vuoi? Altri quindici giorni? Un mese? Dominique, certe cose non sono fatte per sempre».
Scrollo la testa, rifiuto le parole, sta ripetendo quello che io ho sempre sostenuto. Mi alzo in piedi, ruoto attorno alla cucina, non so dove andare. Vorrei vederla comparire dalla sua stanza come mi ero immaginato, sollevarla, portarla via. Portarmi via.
«Forse è meglio se me ne vado».
Sara si alza, mi raggiunge.
«Mi spiace. Credimi».
Vado alla finestra, guardo la strada sotto, al bar i ragazzini entrano per un gelato, il sole rimbalza sui cofani delle macchine, una bicicletta è appoggiata al muro. C'è una quiete piena, incorruttibile.Mamma, da che parte sta il cuore? Dove lo senti tu.
E tu dove lo senti?
Dove ci sei tu.
Allora il tuo cuore non è dentro, è fuori.Sara si avvicina, apre la finestra. Mi guarda senza dire niente, i nostri occhi si muovono dentro i rispettivi spazi. Mi appoggio al davanzale, la gola inghiotte a fatica, il tallone spinge sul pavimento.
«Adesso che farai? Riparti?».
«No».
«Ti fermi a Firenze?».
«Sì».
«Perché?».
«Aspetto. Tornerà».
Il tuffo nel vuoto è una questione di occhi socchiusi, di immobilità.
Sorride. Si allontana, sposta un bicchiere nel lavandino. Raggiungo la porta e me la lascio alle spalle. Evito l'ascensore, la scala è buia, l'unica finestra che porta luce sta troppo in alto. Decido di non guardarla, cerco il rumore dei suoi passi, i tacchi sulla pietra, lo scricchiolio dei cardini quando ha aperto la porta, prima di andarsene, prima di abbandonare tutto, prima di decidere da che parte proseguire. La strada mi entra nel naso. L'odore di polvere galleggia nella luce. Non c'è incertezza nei suoi passi. Non c'è tumulto nel mio cuore. Esco e in un attimo sono fuori.
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OUTSIDE
RomanceOutside è il primo episodio della serie "Side of Love". Mila, giovane avvocato di Firenze, lavora presso lo Studio Bollani-Innocenti e vive una travagliata relazione con uno degli avvocati dello studio. A un concerto degli Staind incontra Dominique...