Quattro

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MILA

Apro gli occhi, avverto il peso di Sara vicino al mio, riconosco il suo insistente fischiettare, il ticchettio della penna che si passa tra le dita. Mi volto, se ne sta appoggiata alla testiera del letto, sopra le lenzuola, fissa una distesa di cruciverba e una ruga nuova le incide la fronte.
«Dai! Aiutami. Quattro lettere: sono d'amor perdute...».
«Pene».
Si gira, alza un sopracciglio e ride.
«Vedo che la materia non ti manca».
Mi tiro su, le strappo di mano il cruciverba e lo butto a terra.
«Scema!».
Scendo dal letto e raggiungo la cucina, Sara mi sta dietro, ridacchia, si infila con la testa nei pensili e ne cava fuori due tazzine.
«Ascolta, dì pure al tuo emiro che il rumore della sua Porsche è oltremodo fastidioso».
Mi volto e la guardo.
«Ieri pomeriggio è stato qui, vero?».
«Sì, e anche stanotte, l'ho visto mentre era alle prese con un coito davanti al portone».
Mi porge un caffè, sorride di gusto, poi si lascia ingannare dagli occhi, sposta l'attenzione altrove e mi fissa il collo.
«E questo?».
Alza la catena, studia il ciondolo, incrocia il mio sguardo e poi torna ad esaminare la collana.
«Ti prego dimmi che sono brillanti piuttosto belli, piuttosto luminosi e piuttosto finti».
«Non sono finti».
«Oh mio dio, Mila. E tu questo lo lasci partire tra quanti giorni? Sedici? Quindici?».
Ci penso un attimo, non posso sbagliare, è un calcolo che la mia mente ripete in continuazione.
«Quindici giorni, a partire da oggi».
Apre il frigo, lo richiude, afferra un cucchiaino dal tavolo e se lo porta alla bocca, torna da me, mi bacia una spalla.
«E te l'ha dato ieri?».
«Me l'ha fatto consegnare in ufficio».
«E tu? Come stai? Io non insisto se non vuoi parlarne, ma devi assicurarmi che stai bene».
«Sto bene».
Si appoggia le mani al petto, trattiene un respiro, le allontana, unisce pollice a indice e forma un cuore con le dita. Le accarezzo la testa e sorridiamo entrambe, ma non ho altro da dire, perché è tutto così instabile che non ha senso parlarne ancora. Torno in camera e cerco qualcosa da mettermi. Lego i capelli in una coda alta, indosso un paio di pantaloni grigio chiaro e un top bianco. Mi infilo le décolleté nere mentre urlo a Sara di chiamarmi un taxi. È accucciata tra i cuscini del divano, quando le passo davanti mi manda un bacio con la mano e accende la televisione. I tacchi rimbombano sulle scale, l'aria fresca mi solletica le braccia. Il taxi arriva in pochi minuti, salgo a bordo e riprendo fiato. Cerco il telefono nella borsa e trovo un messaggio di Dom.

Oggi sei più bella del solito.

Di riflesso mi guardo attorno, lo cerco oltre il finestrino, ma non c'è nessuno.

Hai fatto montare delle telecamere in casa mia?

La sua risposta è altrettanto rapida.

Riesci sempre a darmi degli ottimi suggerimenti.

Rido mentre digito rapidamente

Non ti servono telecamere, non c'è niente che non puoi vedere di persona.

Il telefono mi vibra tra le mani.

Cercherò di tenerlo presente.

Sono arrivata. Allungo i soldi al taxista e scendo. Entro e prendo l'ascensore. Mi sistemo meglio specchiandomi rapida nel riflesso delle pareti, varco la soglia dell'ufficio con una nuova sicurezza. Carlotta mi viene incontro, è seria, composta.
«L'avvocato Bollani ti aspetta in sala riunioni. Dice che è urgente».
La saluto velocemente e raggiungo in fretta il mio ufficio. Non avevo in agenda nessun incontro. Appoggio la borsa sulla scrivania e decido di lasciarla lì, di non tardare all'appuntamento di un solo minuto, devo evitare qualsiasi giudizio negativo nei miei confronti. In pochi passi, sono davanti alla porta della sala riunioni. Entro senza bussare. L'avvocato è seduto al centro, appena mi vede sorride.
«Buongiorno Mila, scusa se ti ho fatto chiamare subito, ma abbiamo bisogno della tua assistenza».
Accanto a lui c'è Marco. Mi scruta, i suoi occhi navigano sul mio corpo senza alcun pudore. Seduto, di spalle c'è un uomo, ampie spalle avvolte da una camicia bianca. Si volta, mi sorride. È Dominique. È qui.

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