Capitolo 46: Pasta

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Ero sui divanetti in giardino che stavo parlando con Crytical, o meglio, lui parlava. Io lo stavo ad ascoltare immersa un po' nei miei pensieri e un po' nei suoi.
Aveva un modo di raccontare quasi "verista" con descrizioni e narrazioni fotografiche di eventi che ti davano la possibilità di analizzare la situazione dall'esterno in modo non condizionato.
Allo stesso tempo, il tipo di narrazione di Francesco mi ricordava quella usata da Leopardi, la scrittura coinvolgente, fluida e sofferente, tipica del periodo del romanticismo.
Era ipnotizzante la facilità con cui esprimeva certi concetti complicati, ed era altrettanto strana la facilità con cui riuscivo ad immergermi e a seguire il suo discorso.

«D'altronde, se la stessa società che si lamneta di una poca inclusione giovanile e uno scarso interesse da paete della nostra generazione, è la stessa che ci mette i bastoni tra le ruote e che ci taglia le gambe a priori in ogni nostra mossa di rivoluzione, anche se minima, che senso ha agire? Che senso ha sforzarsi quando la società approfitterà solo dei benefici a scopo reputazionale dei nostri successi, senza mai spronarci nella crescita?» disse esponendo la sua tesi.

«Qua dentro è un posto sicuro, è come l'isola che non c'è di Peter Pan, ti viene esplicitamente chiesto di mostrare il tuo potenziale e sei ricompensato, con beni per te stesso e la tua cultura, per lo sforzo e l'impegno messo in ogni tuo gesto, ma una volta usciti? Ci sarà mai qualcuno pronto a dirci "vai avanti che verrai ripagato" o le persone penseranno solo a quanto si possa guadagnare da determinate azioni? Chi mi da la certezza che tornare sulla mia panchina sarà un punto di inizio e non un oblio passivo?»

Rimasi incantata da quei ragionamenti complessi e dal suo modo di spiegarli, facendo sembrare tutto così semplice e lecito. Mi sentii impotente di fronte a dubbi di tale importanza, non seppi rispondere.

«Scusami ti riempio la mente di cose inutili» si affrettò lui a dire.

«No, mi fa piacere, è solo che non so cosa risponderti, condivido in pieno le tue opinioni ma non penso di essere in grado di formulare una risposta valida per la tua domanda» risposi un po' imbarazzata da questa mia mancanza.

«Secondo me invece ne sei capace, penso che tu sia un buon interlocutore, altrimenti non ti parlarei di certe questioni» rispose.

Vidi Alex affacciarsi dalla porta della cucina «si mangia» annunciò poi.

Entrambi ci alzammo e raggiungemmo gli altri in cucina.

Mi misi seduta vicino a Christian che mi aveva lasciato un posto accanto a lui.

«È un altro dubbio esistenziale alla Crytical che ti ha ridotto così?» mi chiese scherzando notando il mio, insolito, silenzio.

Risi soltanto.

In realtà c'era qualcosa che mi frugava in mente da un po' di giorni.
Non sapevo bene cosa fosse, probabilmente un mix di situazioni.
Non nego che da quando Maria aveva mandato in onda quel filmato un sacco di punti interrogativi mi vagano nella testa: perchè non ha mostrato tutto? Lo farà mai? Se lo farà, non dovrei prima dirlo io ai miei genitori? Io voglio che vengano mostrate certe immagini?

Non riuscivo a darmi una risposta, e forse solo perchè non riuscivo a dare risposta alla domanda principale: perchè questa questione mi dava così tanto fastidio?

Dovrebbe semplicemente essere un momento di gioia per me, piuttosto che l'ennesima fonte di paranoie.

Ma se riuscivo a preoccuparmi anche su questo, forse non era la cosa giusta, forse era tutto affrettato e probabilemente io non sono pronta, forse è stata la convivenza a forzare tutto o forse ho il costante bisogno di trovare degli ostacoli in qualsiasi tappa della mia vita per far sembrare tutto più entusiasmante.

A cena mangiavamo pasta. Era la terza sera di fila che a cena toccava la pasta.
A me piaceva la pasta, ma quella sera sembrava turbarmi.
Cercai di prenderne un po' ed inforchettarla, ma finivo sempre per posarla e osservarla a vuoto.
Alla fine ne presi un boccone e per circa trenta secondi la masticai, fino a che non posai la forchetta sul tavolo stufa della cena.

«Tutto bene?» mi chiese Christian preoccupato dal mio comportamento.

«Sì sì tranquillo» gli risposi bevendo un sorso d'acqua.

«Non hai fame?» chiese indicando con la testa il mio piatto ancora pieno.

«Non molta» risposi a testa bassa.

«Dovresti mangiare però» commentò inforchettando un po' di pasta dal mio piatto.

«Lo so» bisbigliai.

«Tieni, mangia almeno questa» disse porgendomi la forchetta bella rifornita di cibo.

«Non mi va» gli risposi mentre cercavo di togliermi una pellicina dalla mano.

«Uhm ok» mormorò lui.

Mi avvolse la schiena con il sui braccio sinistro e mi avvicinò a lui. Appoggiai la mia testa sulla sua spalla e mi lasciò un bacio tra i capelli.

Quando vide la mia mano sanguinare a causa della pellicina prese il suo tovagliolo pulito e cercò di tamponare il sangue.

«Lo hai preso da me questo brutto vizio eh» commentò con un piccolo sorriso sulle labbra.

Sorrisi anche io e lo guardai negli occhi: avevo voglia di baciarlo.

Mi riappoggiai sulla sua spalla, lui prese la mia mano con il tovagliolo fasciato e finì di cenare, cercando ogni tanto di farmi mandare giù qualcosa.

«Vuoi un po' di pane?» mi chiese allungandosi per prenderlo.

Non mi andava, ma per vederlo felice lo accettai.
Ne mangiai un pezzetto e mandai giù un sorso d'acqua.

Forse i problemi stavano iniziando a svanire.

Più che semplice amicizia || Christian Stefanelli Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora