Capitolo 36

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Canzone consigliata per leggere il capitolo "Astrid S - Hurts so Good".
Buona lettura.

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Pov's Savannah/Brooklyn

21.45
Matt non era ancora ritornato a casa.

Erano passate tre ore da quando se ne era andato senza rivolgermi più la parola.
Non potevo dargli torto, gli avevo detto che doveva starmi lontano,  che era impossibile poter stare insieme. E lui se ne era andato.

Non posso dimenticarmi lo sguardo stanco che aveva mentre sputavo fuori la verità per l'ennesima volta.

Aveva lo sguardo di chi non voleva più lottare, di chi voleva allontanarsi da me. Era uno sguardo che conoscevo bene. L'avevo visto nelle persone che conoscevo a San Francisco, per tutta la mia vita.

E ora...ora era toccato anche a Matt.

L'unica persona che aveva cercato di capirmi. L'unica che aveva lottato per conoscermi.
L'unico che avevo avvicinato senza paura di farmi male.

E io...l'avevo ferito. Come ero solita fare con lui negli ultimi tempi.

22.00
Ancora nulla.

Ingoiai il groppo che avevo in gola, ricacciai le lacrime e mi alzai dirigendomi verso la stanza in cui lui mi aveva accolta senza chiedere nulla in cambio.

Mi fermai sulla soglia voltandomi ancora una volta verso la porta di casa.

'Non tornerà'

Scossi la testa e iniziai a fissare la stanza davanti a me.

Che senso aveva ancora stare qui? Lo avevo allontanato definitivamente e lui aveva colto il messaggio. Non potevo stare ancora in questa casa.

Non era la mia, ero solo un ospite che oramai era diventato scomodo.

Svegliarsi sapendo che nell'altra stanza c'era una ragazza che non poteva avere a che fare con te non era la convivenza ideale.

E con questa convinzione tirai fuori da sotto il letto la valigia e l'appoggiai sul materasso.

Matt non mi voleva più, lo sentivo, l'avevo visto qualche ora prima. E io dovevo togliere il disturbo.

Iniziai a prendere i miei vestiti,ripiegandoli nella valigia mentre dei flashback dell'ultima sera a San Francisco mi pervasero la memoria.

'Scappa! Vivi la tua vita'

Ma io non volevo scappare, volevo vivere...volevo Matt.

Una lacrima cadde sulla mia felpa preferita e l'asciugai subito.
Non potevo continuare così...non potevo continuare a piangere, a stare male. Ma finché le cose con mio padre non fossero finite non potevo fare altrimenti.

Presi un'altra felpa, ripensando a quella figura che per me doveva essere un padre, un supereroe e invece era stato solo uno stronzo farabutto, la lanciai con rabbia nella valigia.

E così feci con tutti gli altri vestiti.

Mentre chiudevo la valigia la mia mano si fermò sentendo la serratura di casa scattare.
Alzai la testa aspettando di sentire i suoi passi farsi avanti ma non sentii nulla.

I miei piedi avanzarono fuori dalla camera ancora prima che io potessi comandarli e lo vidi.

Si era appoggiato alla porta con le braccia incrociate al petto che evidenziavano i suoi muscoli. E mi fissava.

Io feci lo stesso.

Rimanemmo lì per no so quanto tempo fino a quando il suo nome non mi uscii dalle labbra

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