3 - Yoo

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Yoo aspettò che l'ultimo del gruppo finisse il check-in prima di raggiungere il resto della squadra.

Una donna gli passò accanto, costringendolo a sentire il suo pungente profumo e Yoo chiuse gli occhi. Odiava gli aeroporti. Erano sempre un brulicare di corpi sudati e disgustosi, che si muovevano velocemente e in modo disordinato da un punto all'altro. Finché fosse rimasto lì dentro, non sarebbe riuscito a respirare correttamente.

Quando anche l'indiano ebbe terminato, Yoo iniziò a camminare verso gli altri. Distolse lo sguardo dal suo target, che stava ciondolando su se stessa, solo per colpa di un suono familiare. Scrutò un gruppo di giovani adulti che stava discutendo a qualche metro da lui. Gli ci volle solo un secondo per capire che erano coreani come lui.

Continuò a guardarli con nostalgia.

Era lontano da casa da sei mesi ormai. Tra un lavoro e l'altro non era riuscito a trovare il tempo per tornare in Corea. Ma dopo quella missione, sarebbe potuto andare in pensione senza preoccupazioni. Avrebbe risolto i debiti che avevano preso per pagare le scuole di Sooyun e sarebbe persino riuscito a comprarle un piccolo appartamento da qualche parte.

Quando raggiunse la sua squadra, l'energumeno mascherato si mise in movimento da solo, andando da qualche parte alla loro destra. Yoo lo fissò confuso. Dal modo in cui si muoveva sembrava arrabbiato. Cercò lo sguardo dei due americani per ricevere qualche spiegazione.

L'americano con i baffi incrociò le braccia al petto e fissò la ragazza con delusione, mentre l'altro, più basso e senza baffi, scosse la testa e sorrise.

«Cos'è successo?» chiese l'indiano, fermandosi accanto a Yoo.

«Qualcuno ha l'ego fragile» commentò la ragazza, raccogliendo lo zaino che aveva posato vicino ai suoi piedi. «Io adesso vado al gate. Dopo aver confermato che c'è, vado a mangiare qualcosa.»

Yoo guardò l'ora sul suo orologio da polso. Erano le dodici e il loro aereo sarebbe partito alle quattordici e quindici, quindi a disposizione avevano abbastanza tempo.

«Faremo così» iniziò l'americano con i baffi. «Adesso ci dividiamo. Tu vai davanti e fingi di essere da sola. Noi ti staremo dietro. Cerca di non allontanarti mai troppo perché, come hai specificato tu stessa, nessuno di noi è mai stato in questo aeroporto e potremmo perderci.»

La ragazza lo ascoltò con attenzione, annuendo. «Nessuno di voi è europeo» aggiunse, guardandoli velocemente. «Quindi i vostri controlli di sicurezza saranno più lenti.» Alzò lo sguardo per guardare il loro capitano, come a chiedergli cosa dovesse fare.

«Passi i tuoi controlli, ti fermi come se stessi rispondendo a un messaggio o cercando qualcosa nello zaino, aspetti che il primo di noi ti abbia superato e poi riprendi a camminare» ordinò l'americano basso. Yoo riuscì a intravedere la ricrescita della sua barba e si toccò d'istinto il proprio mento liscio.

«Va bene» rispose la ragazza, sistemandosi lo zaino e prendendo in mano il telefono.

Senza dire altro o salutarli, si mise le cuffie e partì verso i controlli di sicurezza.

Yoo aspettò che il baffuto fosse il primo a seguirla e si mosse a sua volta.

La ragazza camminò con passo rapido, impaziente di arrivare alla sua meta. Yoo si chiese se fosse solo per la fame. A giudicare dal suo aspetto esteriore, gli sembrò denutrita.

Un po' gli ricordava sua figlia. Non tanto fisicamente, ma quanto nel modo in cui si muoveva e dal tono che usava. Sooyun era stata un'adolescente difficile da gestire, soprattutto quando lui e Sooyun si erano separati. Avere un padre nell'esercito, che passava anche anni lontano da casa, non era mai stato facile per lei. Yoo non le aveva ancora detto che si era dimesso dall'esercito per diventare un mercenario e non pensava di farlo nel prossimo futuro. Non aveva idea di come avrebbe reagito e lui teneva troppo a lei per perderla.

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