36 - Diana

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Avverteneze: molta violenza e tanto sangue. 



Dopo un primo momento di esultazione, tutto ciò che Diana provò fu incredulità.

Non era possibile. Doveva trattarsi di un errore. Non erano loro. Non potevano esserlo.

Quella che stava venendo in suo soccorso era un'altra squadra, composta da persone che lei non conosceva. Persone con cui lei non aveva nessun legame.

I suoi stronzi se ne erano andati, rinunciando al denaro. Avevano capito che lei non ne valeva la pena. Li aveva fatti incazzare, questo era certo, riuscendo come sempre a inimicarsi le persone costrette a stare con lei. Era successo ogni volta. Elementari, gruppo scout, medie e superiori. L'università era stata una piacevole eccezione, ma Diana aveva frequentato pochi mesi e poi aveva smesso di presentarsi. Dopo la morte di suo padre non ne aveva avuto la capacità.

Non importava quanto Diana cercasse di piacere agli altri, la sua vera personalità subentrava sempre e lei non poteva fare niente. Come si può controllare la propria vera natura? Quella di Diana era distruttiva, privata dalla capacità di trattare gli altri come meritavano.

Scosse la testa, costringendosi a uscire da quel circolo vizioso. Non era colpa sua se la relazione con quegli uomini era andata allo sfracello. Erano stronzi, arroganti, convinti di avere sempre ragione e di sapere tutto. Chiederle di sottomettersi al loro volere e potere sarebbe andato contro la sua morale.

Quindi, no. Non stavano venendo loro.

Gli uomini presenti nella stanza erano agitati. Idris stava dando loro indicazioni, mentre l'altro uomo, l'inglese che le aveva infilato i coltelli nelle gambe, stava muovendo le gambe divaricate. Il suo volto era eccitato, l'adrenalina che gli impediva di restare immobile.

Diana abbassò lo sguardo sulle lame ancora conficcate nelle sue cosce. Erano un problema di cui doveva occuparsi. Come poteva toglierle senza morire?

La risposta le fu concessa dalla voce nella sua testa. La mia Benedizione ti concede la capacità di guarire più velocemente. Non morirai.

Diana non aveva la certezza di potersi fidare di lei. Eppure, se ci rifletteva, un essere umano sarebbe almeno svenuto dopo aver ricevuto quelle ferite. Invece, Diana, nonostante non si sentisse bene, non stava nemmeno male. Forse perché le lame, essendo ferme, stavano impedendo al sangue di spargersi. Si chiese se sarebbe riuscita ad alzarsi e correre via da lì con i coltelli ancora ficcati nella carne.

Non avendo alternative, si trovò costretta a fidarsi della dea, ad aggrapparsi alla speranza che sarebbe uscita viva da quella stanza. L'alternativa era troppo spaventosa per anche solo pensarci.

Divincolò le mani, che le erano state legate dietro la schiena. La corda era stretta e avvolta intorno alle aste di legno della sedia. Anche i suoi piedi erano legati alla sedia. Cosa avrebbe dovuto fare? Cadere a terra e sperare di rompere la sedia?

Attese in silenzio, pensando che la risposta sarebbe arrivata direttamente dalla Dea. Tutto quello che sentì era il suo monologo interiore.

Spinse le mani all'indietro, esaminando la resistenza delle corde. Come si era aspettata, sentì solo dolore. Smise di muoversi, cercando di scacciare ciò che stava provando e di controllare il suo battito cardiaco.

Ho altri poteri utili?, chiese. Considerò il silenzio come un "no".

Non poteva fare niente. Avrebbe potuto restare seduta lì, ferita e immobile, ad aspettare che qualcuno venisse a salvarla.

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