40 - Spider

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Oscar aprì la porta senza pensare. Era un semplice controllo di ruotine, l'ultimo lo aveva fatto più di due ore prima. Entrò nella stanza privo di aspettative.

Appena la vide, sveglia e seduta, si bloccò, il respiro trattenuto dal nodo che aveva in gola.

Gli sembrò di guardare uno spettro. Pallida e debole, Diana sarebbe potuta svanire come polvere.

Non sembrò notarlo. La sua testa era rivoltata in avanti.

Immobile.

Una bambola, rotta e rimessa insieme pezzo dopo pezzo, che non può muoversi da sola.

Osò avanzare di un passo, addentrandosi nella coltre oscura della stanza. Non era ancora sorta l'alba e dalle tende tirate sulle finestre chiuse non stava passando alcun raggio di sole, né dalla porta aperta alle sue spalle. Tutta la casa era silenziosa e buia. Oscar aveva dovuto spostarsi lentamente, cercando di non sbattere contro niente o nessuno.

Si chiese se lei stesse ancora dormendo. Magari era sonnambula.

Quando avanzò ancora, il parquet scricchiolò sotto la suola delle sue scarpe, e lo sguardo di Diana scattò su di lui. Restarono a fissarsi, entrambi immobili e in silenzio.

Deglutendo l'orgoglio e il dolore, Oscar parlò per primo. «Come stai?»

«'Na merda» fu la risposta roca della ragazza.

Per una volta, la sua volgarità lo rassicurò. Fu la conferma che lei era viva, lì a qualche passo da lui.

Gli occhi di Diana lo squadrarono nel buio. «Tu?»

Dopo tutto quello che era successo, Oscar non si era aspettato che lei reciprocasse la domanda. Perché lo aveva chiesto? Se lei e Whiskey erano stati colpiti era solo colpa sua. Non si meritava la sua preoccupazione.

«Sono integro» disse con un filo di voce.

«Sai usare le ombre?»

Oscar aggrottò le sopracciglia. «Cosa?»

«Ti ho chiesto se sai controllare le ombre, l'oscurità. Hai una spada fatta di buio?»

«No!»

Doveva essere impazzita dopo aver perso troppo sangue.

Diana abbozzò un sorriso. «Bene.»

«Perché...» Si fermò, rendendosi conto di non essere ancora pronto ad avere una conversazione con lei. «Perché me lo hai chiesto?» Forse c'era dietro un significato che lui non capiva.

Diana alzò le spalle. «Perché posso.»

«Puoi controllare le ombre?» chiese, confuso.

La sua risata lo accarezzò gentilmente. Un suono che lo riempì di calore. «No, scemo.»

«E allora?»

La vide scuotere la testa. «Lascia stare.»

Oscar la guardò senza commentare. Il suo petto si alzava e abbassava lentamente e come se quel semplice movimento le recasse dolore. La sua schiena era piegata in avanti, ricurva verso il basso.

Mi dispiace.

Due parole che Oscar sentiva nella gola.

Non sarebbe stato difficile muovere la lingua per pronunciarle.

Oscar aprì la bocca, cercando di buttarle fuori. La sua voce si spezzò in un rantolo sofferente, che attirò di nuovo lo sguardo di Diana su di lui.

Perché non riusciva a dirlo? Era vero. Gli dispiaceva. La colpa era solo sua. Era stato lui ad attaccarla, usando parole che sapeva l'avrebbero ferita. Aveva scelto di farlo.

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