Interludio I

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Interludio I

Cammino. Non so da quando esattamente, ma continuo a camminare.

In un modo o nell'altro riuscirò a tornare a casa nonostante sia dall'altra parte della città, senza soldi e cellulare.
Io troverò un modo per tornare a casa. L'ho già fatto quando ero ubriaca e strafatta di marijuana e pasticche varie, questa volta non sarà di certo diverso. Anzi, solo più facile.

Mi levo la dannata giacca di dosso e con essa in mano, i capelli scompigliati e probabilmente una faccia da zombie, cammino sul marciapiede tra le persone che mi lanciano lunghe occhiate ma non mi importa. A denti serrati, lo sguardo diritto e il mento fieramente alto continuo a camminare.

Ho solo il cuore a pezzi.
Un vuoto che mi divora dentro ad ogni respiro, ma devo farcela. Posso farcela. Questa non è la fine, ci sono già passata con la sola differenza che mi sono buttata nell'alcol, ma non stavolta. Adesso sono sobria. Credo.

Sono un fottuto disastro.
Ma vaffanculo a me e alla mia dannata sfiga che pare ce l'abbia attaccata al culo da anni ormai. Non va mai bene niente.
Ma che cazzo...
Cioè ma esattamente che diavolo ho che non va? Deve esserci qualcosa perché tutto quello che mi sta capitando non ha alcunché fottuto senso.

Prima rovinavo le cose con le mie mani, mi auto sabotavo di continuo perché avevo la fobia della felicità e ogni volta che ero finalmente felice mandavo puntualmente tutto a farsi fottere, ma adesso invece... io non ho fatto niente. Niente.
E mi trovo ugualmente scaraventata in un merdaio di stronzate e nonostante provi a spalare via tutto, niente si risolve.

Ma vaffanculo!
Se l'universo mi sta mandando dei segni o qualunque altra stronzata... beh, che l'universo o Dio, qualunque cosa sia, che si fotta!
Perciò vaffanculo!

Scavalco la recinzione di una casa non appena raggiungo il quartiere residenziale per tagliare diritto e raggiungere l'altra parte della strada senza farmi altri inutili due chilometri.

Universo del cazzo, destino, karma, un grandissimo vaffanculo a tutt-

La camicia si incastra al recinto e si strappa.
Cazzo.

Scivolo malamente giù, mi graffio il fianco e cado sopra qualcosa che si riduce in mille pezzi.
Cazzo.

Mi alzo dal prato presente intorno alla villetta e do un'occhiata in giro.
Aggrotto la fronte e guardo meglio.
Oh... un tavolo di plastica.

Le luci della casa si accendono tutto d'improvviso e io sbarro gli occhi.
Sono nella merda.
Cioè lo sono già a sufficienza, ma questa è merda legale, del tipo che posso andare in prigione.

Non so nemmeno quando siano volati i minuti, il mio cervello continua ad avere dei blackout e a perdere la cognizione del tempo. Mi trovo ammanettata alla mano sinistra alla scrivania della Centrale di Polizia. So di essere stata sobria, ma le tempie mi pulsano, ho l'emicrania, la testa gira e mi sento la nausea salirmi su per la gola.

Ero sobria.
Non ricordo quando con esattezza. Prima di cadere nella proprietà privata di qualcuno o dopo? Non lo ricordo.

È notte fonda, l'orologio alla parete segna le due e io ho la testa appoggiata sulle braccia posate sulla scrivania. Cerco di non addormentarmi ma è difficile. Perfino su questa sedia scomoda riuscirei a dormire tanto sono morta dalla stanchezza e dai postumi dell'alcol. Sì, ero sobria. Lo ero.
La Centrale è silenziosa. Le mura bianche e pulite, alcuni poliziotti ai loro posti che lavorano e compilano scartoffie, le luci basse a led che illuminano solo alcune zone del reparto.

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