5 | Sono Ryan

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CAPITOLO 5
Sono Ryan


Sono le quattro di pomeriggio, il mio turno inizierà fra venti minuti perciò mi sbrigo rapidamente per raggiungere il Pink Ocean.
Ieri notte sono rimasta a dormire come al solito a casa di Nicholas e adesso che ci penso forse dovrei spolverare un po' il mio monolocale in cui ultimamente ci entro solo per prendere delle cose che mi servono e che lascio in giro per l'appartamento di Nick tanto che i miei vestiti ormai hanno un luogo fisso sulla lavatrice e la poltrona in stanza da letto. Mi sono perfino guadagnata tre posti nel suo armadio, dove i vestiti sono rigorosamente stirati e piegati, ovviamente non da me, ci mancherebbe. Il massimo che so fare è buttarli in lavatrice e smollare il doppio della dose di detergente per panni, tanto che Nick mi ha categoricamente vietato di fare anche solo un bucato, perché gli riempio sempre il bagno di acqua e schiuma.

Non è colpa mia. Insomma, lo è in parte ma non del tutto. È lui ad avere una lavatrice strana che non funziona come la mia... credo. Sì, forse è questo.

Per quanto riguarda invece i vestiti buttati sulla sua poltrona, quelli gli ho detto di non toccare altrimenti gli avrei tagliato le mani col suo coltello da cucina giapponese.
Voglio le pieghe. Già, proprio così. I vestiti stirati sono belli, ma io sulle magliette voglio le mie cavolo di pieghe che possano darmi un aspetto da vissuto, che raccontino qualcosa tipo che nonostante tutto ho ancora una identità. Io non sono una maniaca del controllo e se Nick non la pianta di rubarmi i vestiti e stirarli di nascosto giuro che raggiungo la stazione di Polizia e gli buco le ruote dell'auto di pattuglia.

Almeno ha cambiato le pastiglie dei freni, ma credo che adesso si sia rotta la centralina perché quel rottame fa dei strani rumori ogni volta che preme il piede sull'acceleratore.

E la mia moto è rimasta parcheggiata davanti il Pink Ocean, perché si dà il caso che abbia avuto un passaggio dal suo SUV e ora devo farmi i quindici minuti a piedi fino al mio posto di lavoro. Non è un problema, non quando ho le cuffie alle orecchie, la musica sparata a palla che mi trapana il cranio e la mia chewing-gum al gusto fragola che mastico facendo di tanto in tanto bolle che faccio scoppiare rischiando di farle finire sul naso, soffocarmi e morire stecchita sul marciapiede.

Quantomeno non fa freddo, anzi. Oggi la temperatura è più alta del solito tanto che sono solo in felpa col cappuccio di Rick e Morty, le maniche tirate in su e i pantaloncini fino alle ginocchia e... quella macchina che ho alle spalle e che sfreccia accanto a me l'ho vista fare il giro dell'isolato ben due volte, questa è la terza.

Continuo a camminare indisturbata, canticchio i versi della canzone saltellando di tanto in tanto e poi a una decina di metri dal Pink Ocean, giro l'angolo, torno indietro passando dietro agli edifici residenziali e poi la vedo di nuovo. La macchina.

Grigia, piccola, sembra una di quelle a piccola cilindrata alimentata a diesel che è più silenziosa delle altre in circolazione. La vedo passare nuovamente sulla strada che porta al mio monolocale, rallenta gradualmente e io riduco gli occhi in due fessure osservando la scena da dietro l'angolo.

C'è qualcosa che non va.
Le opzioni sono due: chiunque sia alla guida si è perso e non riesce a trovare il numero residenziale di una casa oppure...

Tiro su il cappuccio, abbasso le maniche, tiro via gli auricolari col cavo e mi avvicino a passo felpato provando a non farmi scorgere attraverso gli specchietti retrovisori. Avanzo ancora col cuore fermo, il respiro controllato e la mascella serrata.

Uno, due, tre passi. La macchina si ferma completamente a due metri prima dell'entrata del Pink Ocean, dietro una macchina bianca. Poco più avanti c'è l'Audi di Ethan, infilata tra le macchine invece la mia Kawasaki verde e sgargiante.

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