Folksir sospirò, immerse la piuma nel calamaio e si appoggiò contro lo schienale della comoda sedia imbottita. Portandosi stancamente una mano alla fronte per massaggiarsi la tempia pulsante, gettò uno sguardo alla pergamena sullo scrittoio e lesse le uniche due parole necessarie a recapitare quel messaggio, desiderando che cambiassero sotto i suoi occhi, sperando che falsificassero il loro senso per non essere portatore di quella notizia infausta.
Ma quelle rimasero immutate anche alla decima rilettura, come marchi di fuoco sulla pelle.
È arrivata.
Inspirò profondamente aria e chiuse gli occhi, massaggiandosi ora le palpebre pesanti. Era stanco. Quella giornata l'aveva stremato, aveva attinto alla sua forza fino a lasciarlo debole. I reali non l'avevano congedato dopo la presentazione della signorina Paddington: aveva cercato Noah, senza trovarlo, e poi l'avevano invitato a cena come veste di consigliere.
Solo alle otto passate era finalmente riuscito a tornare nelle sue stanze, si era seduto con irruenza su quella poltrona e aveva fissato il vuoto per tempo protratto, alla ricerca delle parole più adatte.
Erano state quelle più semplici e schiette a prevalere.
Dei colpi secchi alla sua porta lo costrinsero a riaprire le palpebre, e portò gli occhi alla lastra di legno. Rimase in silenzio nella speranza che, chiunque fosse, non avrebbe bussato una seconda volta. Vigeva una regola implicita alla reggia: se lui non si fosse apprestato ad aprire, solo chi necessitava urgentemente dei suoi servizi avrebbe dovuto bussare una seconda volta e tutte quelle necessarie.
I nuovi battiti arrivarono però dopo soli pochi secondi, così Folksir ripiegò il foglio, lo mise nel cassetto della scrivania e andò ad aprire, proprio mentre il giovane dall'altro lato fece partire il pugno chiuso intenzionato a bussare per la terza volta, colpendolo così dritto sul naso.
Folksir cacciò un lamento e fece un passo indietro.
«Oh, scusami, vecchio mio» disse il ragazzo, avvicinandosi a lui. «Giuro che volevo colpire la porta, ma quella è diventata la tua faccia.»
Folksir, massaggiandosi il punto dolente, grugnì. «Hai un bel gancio.»
Il viso del giovane si illuminò. «Tutto merito della pratica fatta su mio fratello» ghignò, facendosi passare una mano tra i capelli biondi. «Scusami per l'orario, ma mi è stato detto che mi cercavi» concluse, stringendosi nelle spalle con noncuranza.
Folksir annuì, spostandosi per farlo entrare e chiudere poi la porta. Il primogenito della famiglia Hudson non fece tanti complimenti e avanzò nello studio per lasciarsi cadere sulla sedia da cui lui si era appena alzato. La allontanò dallo scrittoio per distendervi comodamente le gambe, incrociandole in una posa scomposta e irriverente.
«In realtà ti cercavano tutti» ribatté, andando verso di lui per colpire infastidito i suoi stivali sporchi di fango come invito a toglierli da lì.
Il principe sbuffò, facendo però quanto lui silenziosamente aveva richiesto. «Ah, sì?» gli domandò, continuando a non mostrare interesse. Distolse gli occhi nocciola dai suoi, fissando la mela che, nervosamente, aveva iniziato a passarsi da mano a mano. «E come mai?»
Folksir lo guardò impassibile, nonostante non avesse l'attenzione dell'altro. «Lo sai benissimo perché» gli rispose, con calma. «Dovevi essere presente.»
Il giovane riportò lo sguardo nel suo. «E per quale motivo?» chiese, le iridi brillanti di irritazione.
«Sei il primogenito, Noah» replicò senza tanti giri di parole, sostenendo il suo sguardo colmo di sfida. «Ti dirò che era un tuo dovere essere presente all'accoglienza, se non vuoi appellarti alla buona educazione che i tuoi genitori ti hanno insegnato.»
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Déjà vu
RomanceIris Larson, delle sue origini, non sa niente. Salvata per miracolo da un naufragio, è approdata ancora in fasce in un tranquillo paese costiero del regno dei Monvisi, che non ci ha pensato due volte ad accoglierla e crescerla come fosse sempre stat...