Folksir si mise frettolosamente una camicia addosso quando il bussare alla sua porta si fece più insistente, e si mosse verso l'uscio d'entrata facendosi passare più volte una mano tra i capelli nella vana speranza di asciugarli e rendersi il più presentabile possibile per l'ospite che lo stava cercando con così urgenza.
Mise una mano alla maniglia e spalancò la porta, rilasciando poi un sospiro di sollievo quando incontrò le iridi di Nora. Non aveva la forza di prendersi cura di nessun paziente quel giorno, era stremato, la mente incoerente, il corpo carico di dolori.
Aveva provato a rilassarsi con un bagno caldo, ma sentiva il malessere fin dentro le ossa: Noah doveva avergli passato la febbre, oppure la divinità celeste e quella subterrena lo stavano punendo per star intralciando i loro piani. Appena chiudeva gli occhi riusciva a sentire le loro voci sussurrargli di lasciar correre, di farsi da parte, di non stare nel mezzo del destino.
Appena notò l'espressione di Nora, il sollievo che aveva provato nel vederla svanì, perché quelle labbra tirate e le sue iridi colme di rabbia e disperazione non lasciavano presagire niente di buono.
«Ti disturbo?» gli domandò, facendo passare lo sguardo sui suoi capelli bagnati e i suoi vestiti messi con poca cura.
Folksir scosse la testa. «No, ho appena finito il mio bagno» mentì, dato che per rispondere alla porta era uscito di tutta fretta dalla tinozza d'acqua in cui era entrato da soli pochi minuti. «Entra» aggiunse, spostandosi per farla passare.
Nora annuì ed entrò, e Folksir rimase indietro concedendosi qualche secondo di troppo per richiudere l'uscio; sapeva che appena si sarebbe chiuso, Nora avrebbe lasciato uscire dalle sue candide labbra parole gravose che avrebbero fatto fiorire in lui il bisogno pressante di consolarla.
Un ultimo momento di pace.
Chiuse la porta e si girò verso la donna, che si era intanto avvicinata alla finestra che dava sui giardini del retro, lo stesso scenario a cui lui si era abbandonato innumerevoli volte, il sottofondo visivo dei suoi momenti di meditazione.
Il sole era ancora alto nel cielo, un'altra giornata magnifica quanto fredda, e sebbene Folksir quel giorno avesse perso la cognizione del tempo riusciva a vedere dalla posizione di quell'astro splendente che non doveva essere più tardi delle tre del pomeriggio.
Contrariamente a quanto si era aspettato, Nora non iniziò a parlare come un fiume in piena. Rimase in silenzio, e Folksir fece lo stesso, rimanendole alle spalle, vicino ma distante: una lontananza che era sempre più accresciuta durante il tempo che avevano passato lontani, una lontananza che c'era sempre stata ma che avevano finto di non vedere per anni, una lontananza che non si sarebbe mai potuta accorciare.
«Iris mi ha ringraziata per l'offerta ma l'ha declinata» mormorò, un sussurro così leggero che Folksir lo recepì appena.
Non ne rimase sorpreso. Non aveva mai creduto che avrebbe accettato.
«Che cosa ti ha detto?» le domandò, portandosi una mano alla tempia pulsante.
«Che sarebbe onorata di venire con me a Rocheforte, ma non adesso» gli rispose, sempre un soffio flebile di voce. «Non vuole lasciare la signorina Paddington prima del matrimonio.»
Folksir annuì, nonostante Nora non potesse vedere il suo consenso silenzioso.
Il destino trova sempre il modo di compiersi.
«E poi li ho visti» continuò lei, una potente nota di dolore nella voce fioca. «Stavo passando vicino la sala delle dame e li ho visti, nascosti dietro una colonna come se non stessero neanche provando a stare attenti, come se desiderassero farsi scoprire.»

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Déjà vu
RomanceIris Larson, delle sue origini, non sa niente. Salvata per miracolo da un naufragio, è approdata ancora in fasce in un tranquillo paese costiero del regno dei Monvisi, che non ci ha pensato due volte ad accoglierla e crescerla come fosse sempre stat...