24 - Volere

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Noah osservò con meraviglia Iris scoppiare in una nuova risata piena di trasporto. Aveva una risata delicata, ma capace di rubare la scena a qualsiasi altro suono di sottofondo, diventando protagonista indiscussa.

Avrebbe voluto chiederle se avesse avuto un altro déjà vu e se stesse ridendo per quello, ma non voleva porre fine a quel suono, così rimase in silenzio a guardarla, a memorizzare la curva del suo sorriso, il modo in cui il suo naso si arricciava, le delicate rughe espressive vicino agli occhi, strizzati dal divertimento.

«Precisamente» gli disse poi, cercando di regolare i singulti. «Cosa intendi con essere il linea con il proprio destino?» gli domandò, marcando l'ultima parola con maggiore divertimento.

«Secondo il buon vecchio Folksir, tutti noi nasciamo con un destino segnato» le spiegò, ricordando di come l'uomo gli aveva fatto quel discorso una delle tante volte in cui era entrato a grandi passi nel suo studio per lamentarsi della sua condizione.

Una sera che era andato da lui particolarmente distrutto, Folksir aveva iniziato a parlare di destino. Noah aveva pensato che quel discorso fosse solo un modo per fargli capire che il suo era proprio quello e che non avrebbe potuto cambiarlo in alcun modo, che non c'era niente che lui o chiunque altro avrebbe potuto fare. Che avrebbe dovuto accettarlo e andare avanti con la sua vita. Ma quando gli aveva parlato dei déjà vu e della teoria che lui stesso aveva appena accennato a Iris, Noah aveva provato sollievo: non ne aveva mai avuto uno e, quindi, gli piaceva pensare che quella che stava percorrendo non fosse davvero la sua strada, che fosse fuori rotta, e che presto avrebbe incontrato il suo vero destino, un percorso che si sarebbe allontanato da quello prefissato dai suoi genitori, dal matrimonio combinato, dai doveri.

Era da quattro anni che stava aspettando il suo déjà vu personale.

«Nel senso che la nostra vita è già tutta scritta nel momento in cui nasciamo?» gli domandò Iris, nessuna più ironia nella voce.

Noah sorrise tristemente. «Tutti abbiamo la vita già scritta nel momento in cui nasciamo, in base a dove e a come nasciamo» le rispose, senza riuscire a nascondere la propria sofferenza. «Ma quello di cui parla Folksir va al di là dei diritti, dei doveri e delle possibilità che ci offre la condizione sociale nella quale veniamo al mondo.»

Con la coda dell'occhio, vide Iris annuire e alzare lo sguardo alla cupola di vetro sopra le loro teste. «È qualcosa scelto dalla divinità celeste?»

«Più o meno. Folksir non crede davvero nell'esistenza di una divinità fisica, preferisce parlare più in generale di fato, ma, a mio parare, sono la stessa cosa.»

Iris abbassò lo sguardo dalla cupola e lo riportò su di lui, le labbra arricciate in un sorriso. «Ah, questi astrologi.»

Noah ridacchiò. «Amano complicarsi la vita.»

«E quindi questo fato traccia la strada che dobbiamo percorrere?»

«Esatto» riprese Noah, portando gli occhi alle lucciole che si muovevano alla loro sinistra. «Ma non è detto che tutte le persone riescano a seguire fin da subito quella strada, a causa appunto della condizione sociale in cui nascono. Il non avere parità complica molto la faccenda. Metti caso che uno è destinato a diventare un nuotare eccezionale, ma nasca nei ghiacci del regno degli Havelar. La sua condizione potrà interferire molto sul destino dettato dal fato» cercò di spiegarsi. Sentì le proprie labbra arricciarsi in una smorfia ironica.

Lo sguardo di Iris cadde su quelle, e Noah sentì la stessa scarica di adrenalina che gli aveva scosso il corpo quando aveva posato lo sguardo sulla bocca di lei. Ne era stato così catturato che si era subito ritratto, impaurito di quello che avrebbe potuto fare se le fosse rimasto vicino. Si era allontanato con uno scatto veloce che Iris non aveva potuto fare a meno di notare e che aveva spento le sue bellissime iridi.

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