42 - Rancore

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«Folksir!» tuonò Mikael, appena suo figlio sparì dai loro sguardi. «Perché l'hai lasciato andare?»

Folksir inchinò il capo. «Con tutto il rispetto, miei signori» disse, sorpreso di avere voce in corpo per rispondere, e anche di riuscire a farlo in quel modo tranquillo, come se la rabbia di Noah non lo avesse scosso fin nel profondo del suo animo colpevole. «Pensavate di tenerlo segregato qui dentro per tutta la sua vita?»

Mikael gli rispose con durezza. «Doveva calmarsi.»

Folksir rialzò lo sguardo. «Non l'avrebbe fatto» ribatté, con certezza. «Tenerlo qui con la forza non avrebbe fatto che accrescere la sua ira. Volevate restringerlo?» domandò, senza perdere un battito di voce. Fece un cenno in direzione della sedia rovesciata. «Legarlo alla sedia?»

Mikael lo guardò accigliato, ma Folksir rimase fermo nella propria posizione, senza mostrare un segno di rimorso per le sue dure parole.

Era arrabbiato.

Non con loro, che in fondo avevano fatto quello che ci sarebbe aspettato da un re e da una regina, ma dentro ribolliva di rabbia. Con sé stesso, per tutto quello che nascondeva, con Nora, che non voleva scendere a patti con la realtà, con le divinità, che lo avevano gravato con quell'infausto fardello.

Aveva bisogno di farla uscire in qualche modo, se non voleva implodere.

«Andrà dritto da Nora» intervenne Lisa, tesa e preoccupata.

Folksir annuì. «Lasciateglielo fare» ribatté, secco.

Lasciate a lei il compito di spiegargli perché non potrà essere felice neanche per quel poco tempo che gli è concesso.

Sia la regina, sia il re fissarono i loro occhi sul suo volto, sbalorditi.

«E pensi che sia ideale lasciarglielo fare in queste condizioni?» urlò, al limite dell'incredulo e della rabbia, Mikael.

Folksir si umettò le labbra, scegliendo attentamente le parole da usare. «Vuole delle spiegazioni» rispose, la voce piatta. «Non si calmerà fino a quando non le avrà, fino a quando non capirà. Farlo andare da lei stasera, domani o dopodomani, non avrebbe cambiato niente.»

Mikael aggirò il tavolo, muovendosi verso di lui. «Pensi che dovevamo dirglielo, vero?»

Folksir scosse la testa. «No, la regina Valsecchi vi ha chiesto di non dire niente, nemmeno a Noah. E voi avete onorato il suo desiderio» replicò, con durezza. «Vi ha messo in una posizione senza via d'uscita» aggiunse, ripensando alla storia che aveva inventato per convincere i reali Hudson. Una storia che non voleva venisse sentita da nessuno che non fosse un leale servitore della Corona votato al silenzio, perché non poteva permettersi che la sua finzione arrivasse alle orecchie di qualcuno di diverso. «Ma Noah non si arrenderà senza avere spiegazioni che voi non potete dargli. Lasciate alla regina Valsecchi decidere cosa dirgli.»

L'ultima frase la disse con più rancore di quanto aveva intenzione usare, e Folksir si sorprese di quanto fosse irritato.

Assistere alla rabbia e alla disperazione di Noah lo aveva devastato. Stare lì, inerme, alle sue spalle, lo aveva annichilito. Pensare di non poter far niente per aiutarlo, lo aveva raso al suolo.

Potrei dirtelo io? Potrei spiegarti la verità? Tutta?

Ma Folksir sapeva che quelle domande che si rivolgeva da anni non erano che quelle: dubbi a cui non avrebbe mai dato adito.

Non posso. Non avrebbe senso farlo. Ti ferirei solo, e ti getterei nella disperazione di cercare una soluzione che non esiste.

«Devo andare con lui» proferì Mikael. «Devo...» si interruppe, portando lo sguardo alla porta ancora spalancata.

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