25 - Preparativi

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Forse è destino che tu sia arrivata qui.

Il sussurro caldo e roco di Noah fu il primo pensiero cosciente che invase la sua mente quando, con dolcezza, Iris si destò dal sonno.

Non aprì gli occhi, non subito, e si rigirò nel letto a pancia in su, avvolta nelle calde coperte.

Un calore che non aveva niente a che vedere con quello che aveva infiammato ogni parte di lei quando si era ritrovata a un soffio dalle labbra di Noah, i loro corpi uniti senza distinzione.

Vorrei baciarti.

Istintivamente, Iris si portò le dita tremanti alla bocca socchiusa. Non la toccò, si limitò a sfiorarla, a percepire la vicinanza dei polpastrelli come aveva percepito le labbra di Noah nonostante non ci fosse stato un vero tocco, a sentire il fiato infrangersi sulla mano come il respiro di Noah si era infranto sul suo volto.

Erano stati così vicino a un bacio, al suo primo bacio, ma lui si era tirato indietro proprio quando lei aveva chiuso gli occhi per lasciarsi andare senza pensare alle conseguenze, quando aveva deciso che non le importava nulla dei problemi che avrebbero potuto fiorire da quel contatto.

No, non aveva deciso niente. Era stato inevitabile, come già scritto dal fato nel momento della sua nascita.

Il silenzio della sua camera era interrotto solo da rumore del temporale e dal suo fiato pesante. Il ticchettio della pioggia sulle finestre non fece altro che riportarle alla mente tutta la notte passata con Noah: il vino, le coltivazioni di iris, le lucciole, le loro mani intrecciate, il suo tocco.

Iris deglutì e il suo respirò accelerò quando ricordò la consistenza del suo corpo, il suo odore, la ruvidezza delle sue dita, la sua voce trasognata.

Forse è destino che tu sia arrivata qui.

Noah le aveva sussurrato quella frase come a volere intendere che fosse destino che lei fosse arrivata da lui. Iris lo aveva sentito, aveva scovato quel significato celato.

Eppure si era allontanato.

Perché?

Il bussare improvviso alla sua porta la allontanò bruscamente da quei pensieri, e Iris si rizzò subito a sedere, sollevando le palpebre per trovare l'oscurità di una giornata senza sole.

Gettò uno sguardo alla finestra dalle tende chiuse, incapace di capire che ore fossero. Si alzò in fretta dal letto, la testa molto più leggera di quello che si era aspettata dopo aver bevuto quasi un'intera bottiglia di vino.

Altri colpi alla porta, più decisi.

Iris si guardò il vestiario notturno e si fece passare una mano tra i capelli scompigliati, imbarazzata. «Arrivo!» esclamò, la voce ancora arrochita dal sonno. «Un... un attimo solo» aggiunse, girando per la camera alla ricerca della sua vestaglia di lana.

Fu la voce di Victoria a risponderle dall'altro lato della porta. «Iris, sono io!»

Iris rilasciò un sospiro di sollievo e abbandonò la ricerca della vestaglia per andare ad aprire la porta.

«Ti sei appena svegliata?» le chiese Victoria, perplessa, quando notò la sua camicia da notte. «Sono le undici!»

Iris sbuffò e si allontanò dall'uscio per farla entrare. Poi adocchiò finalmente sull'anta dell'armadio la vestaglia e la indossò per proteggersi dal freddo. «Sì. Sono andata a letto tardi.»

Victoria le rivolse uno sguardo interrogativo. «E che hai fatto, di grazia, per andare a letto tardi anche questa notte?»

Iris scostò le tende, e la luce plumbea si riversò nella stanza. Si mordicchiò il labbro, indecisa se dirle la verità o inventarsi una qualsiasi altra scusa per essere stata in piedi fino a tarda notte.

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