41 - Ordini

15 4 0
                                    

Noah finì di riempire la mangiatoia di Arya, e poi si appoggiò con la schiena al cancelletto chiuso, le braccia incrociate e lo sguardo al muso del suo cavallo, chino a mangiare il fieno e l'avena fresca.

I suoi pensieri, però, lontani da quel luogo, rimasti incagliati alla cascata di Hydeva, all'arcobaleno denso e all'alba delicata che avevano scolpito nelle iridi di Iris bellezza.

Chiuse gli occhi per imprimere dietro le palpebre le immagini di quella mattina, per fare in modo di ritrovarle sempre nitide e pronte a riscaldarlo come l'aveva riscaldato il corpo di lei, i loro abbracci sicuri e i baci che gli avevano aperto sempre di più i polmoni.

Schiuse le labbra, il fiato un poco più accelerato del normale; bastava solo il ricordo del suo corpo sopra quello di lei a smuoverlo in modi per lui ancora misteriosi, modi con cui non vedeva l'ora di familiarizzare fino a considerarli dei cari amici.

Lui e Iris si erano separati da ore, e il suo corpo era dolorante di mancanza. Come avrebbe potuto resistere fino al loro incontro di quella notte? Come avrebbe fatto a sopravvivere, poi, all'alba, a un altro allontanamento quando il suo animo non faceva altro che chiedergli di unirsi a lei?

Un gemito impulsivo gli sfuggì dalle labbra calde di desiderio.

«Tutto bene, Noah?»

Noah spalancò gli occhi, mentre sentiva le guance andare in fiamme. Era stato sicuro di essere solo, libero di mostrare tutto il caos che aveva risvegliato ogni nervo del suo corpo.

Si schiarì la voce, simulando qualche colpo di tosse. «Sì, Filippo» rispose, voltando la testa verso il ragazzo, che si era chinato con il busto dentro lo spazio riservato ad Arya, gli avambracci al cancelletto, per poterlo guardare in viso. «Pensavo fossi ancora a pranzo» aggiunse, quando l'altro inarcò un sopracciglio, curioso.

«E io pensavo che non fossi capace di sorridere come un ebete» ribatté Filippo, ghignando. «Qual è il suo nome, vecchia volpe?»

La saliva gli andò di traverso per la sorpresa, e questa volta Noah tossì davvero. «Cosa?» domandò, in uno stridulo. «Non dire idiozie, Fil» mormorò poi, scostando lo sguardo.

Filippo fece un verso poco convinto. «Riconosco quell'espressione, con chi credi di parlare? Stavi fantasticando, ragazzo mio, belle e grandiosi fantasie» ribatté, divertito. «Dubito che tu abbia cambiato parere sulla principessa Valsecchi in dodici ore, quindi... Come si chiama la fortunata? Spiegherebbe finalmente molte cose.»

Noah scosse la testa. «Non c'è nessuna fortunata da chiamare in alcun modo» disse, cercando di mantenere il controllo del suo cuore scalpitante.

«Sì? E allora perché oggi sei andato a cavalcare all'alba con due cavalli?» gli chiese.

Noah tornò a guardarlo, sorpreso. Erano partiti ancora prima dell'alba, quando non c'era in giro ancora nessuno che avrebbe potuto vederli. Ed erano stati molto cauti al rientro. Iris non si era avvicinata alle stalle, e Noah aveva riportato indietro entrambi i cavalli. La poco convincente scusa che si era preparato in caso avesse trovato Filippo già lì non era servita. Il ragazzo non c'era stato, quando lui era arrivato alle stalle.

Come faceva, invece, a saperlo?

Noah non riuscì a ricomporre la propria espressione, né a trovare qualcosa di arguto da ribattere. «Io... non... non ci sono andato» fu tutto quello che riuscì a dire, con un tono che non avrebbe convinto nemmeno un bambino.

Filippo roteò gli occhi. «Sono cresciuto qui dentro, Noah, so riconoscere i segni.» Gli circondò le spalle con un braccio, scherzoso. «Quindi?»

Noah deglutì, e riportò lo sguardo verso Arya. In un istinto di sopravvivenza, la maschera che aveva imparato a costruire negli anni si posò sul suo volto neutralizzando ogni sua ruga d'espressione.

Déjà vuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora