33 - Tre

15 4 0
                                    

Erano passati tre giorni dalla cena, e Iris era diventata un fantasma.

Aveva lasciato raramente la sua camera, se non per qualche ora sporadica alla sera, quando andava a nascondersi nella sartoria vuota. Aveva iniziato un abito per Victoria, contenta per quella distrazione. Lavorare riusciva a toglierle dalla mente tutti i pensieri che non riguardavano lana, punti, aghi e metri.

Il giorno dopo aver preso da Folksir le erbe che le avevano fatto passare una pura notte di sonno, Iris aveva preso al balzo la scusa che la stessa Victoria le aveva servito senza rendersene conto. Si era finta ammalata, evitando così il dover presenziare a pranzi, tè e cene.

Le era bastata la mattina passata in compagnia con la principessa Livia in biblioteca: le si era seduta vicina e nonostante entrambe avessero passato il tempo in religioso silenzio, ognuna presa dalle proprie letture, Iris non aveva potuto fare altro che essere invasa da lei e la sua regale presenza.

Le era decisamente bastato il tè pomeridiano passato in compagnia alla sala delle dame, dove non aveva potuto restare in silenzio. Aveva dovuto conversare con lei, imparare a conoscerla, e Iris era uscita dalla sala affascinata da quella giovane ragazza e dalla sua mente acuta.

E questo non aveva fatto altro che farle provare ancora più vergogna e umiliazione, così pungenti da farle desiderare di sparire da quella reggia, allontanarvisi per non farvi più ritorno.

Un desiderio che si era accentuato giorno dopo giorno, quando la verità che lui non aveva più provato a cercarla le aveva depositato un peso sullo stomaco che le aveva fatto passare anche la fame. Lei non era caduta vittima al suo primo tentativo di scuse, e lui doveva aver deciso che non valesse quindi il suo tempo.

Così era diventata un fantasma, che usciva dalla propria stanza solo una volta calate le tenebre.

Quella mattina, però, aveva fatto un'eccezione.

Quando si era alzata e aveva visto il sole splendere fuori dalla sua finestra, Iris aveva deciso di vestirsi e uscire in giardino per prendere un po' di calore e aria, dopo giorni di freddo e apnea.

Era da quasi un'ora che vagabondava senza una meta. Era ancora presto, e poche persone giravano per i giardini ricoperti di rugiada.

La sua mente libera vagava insieme al suo corpo, e in quel momento le portò, come spesso aveva fatto negli ultimi giorni, il pensiero di Victoria. E, insieme, la colpa che provava nei suoi confronti.

Era da giorni che le mentiva e che non passava del tempo con lei. Non aveva avuto il coraggio di confessarle di Noah, non aveva avuto le forze di ammettere quanto fosse stata ingenua, e aveva preferito millantare un continuo dolore alla testa per restare chiusa in camera.

Victoria era comunque passata tutte le mattine per controllarla, per prendersi cura di lei, preoccupata, ma Iris era sempre stata in silenzio, incapace di mettere a parole il suo stato d'animo.

Era solo una sciocca.

Si era fidata di lui, di un ragazzo con cui aveva condiviso solo qualche notte. Ma che colpa ne aveva, lei, se si era sentita attratta a lui fin dalla loro prima conversazione? Che colpa ne aveva, se il suo animo aveva pensato di conoscerlo da sempre? Che colpa ne aveva, se il suo cuore aveva pensato di potersi sentire al sicuro?

Come fosse destino.

Iris sospirò e si sedette su una delle panche di marmo del giardino della reggia, non molto lontana da quella su cui aveva condiviso con lui una bottiglia di vino.

Fissò lo sguardo al largo e lungo bacino piastrellato la cui acqua, grazie al timido sole, si era sghiacciata. Le fontane erano state riaccese dopo giorni di chiusura, e i getti d'acqua salivano verso il cielo per poi ridiscendere verso terra in maestosi archi.

Déjà vuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora