28 - Tempo

19 3 0
                                    

Noah l'aveva cercata ovunque.

L'aveva aspettata per tutta la notte sul tetto, si era ripresentato alla sua stanza al mattino e poi anche al pomeriggio, l'aveva cercata nella sala delle dame e in quella del tè. Era andato persino alla serra, percorrendo il tragitto con il cuore in gola.

L'aveva cercata ovunque, ma non l'aveva trovata.

Iris sembrava sparita, come fa un sogno troppo bello per essere vero, quando si aprono gli occhi con riluttanza al mattino e si è costretti a lasciarlo andare.

Noah aveva imprecato per tutto il giorno contro la divinità celeste, quella subterrena, il destino, o chi di dovere, ma a niente erano servite le sue ingiurie a una forza inesistente: mancava un'ora alla cena, e lui ormai si era rassegnato. Iris l'avrebbe scoperto davanti a tutti, e non l'avrebbe più guardato in faccia.

Ma cosa si era aspettato? Come aveva potuto reggere quella finzione per tutto quel tempo? Come aveva fatto a non pensare ai mille modi in cui tutto quello gli sarebbe potuto ritorcere contro?

No, li aveva pensati. Ma aveva scelto di ignorarli.

Era solo colpa sua, Noah lo sapeva. Suo fratello, che quel giorno non l'aveva degnato neanche di un saluto, aveva perfettamente ragione.

Te la vedrai da solo, gli aveva detto.

Perché è colpa mia. Me lo merito.

Noah si sistemò la camicia bianca di stoffa e poi indossò la giacca, a suo parere fin troppo elaborata e intarsiata d'oro, che la servitù gli aveva preparato sul letto.

Come sempre, ebbe la sensazione che il peso di quella fosse molto di più di quello reale.

Vagò in cerchio per la camera, agitato e senza niente da fare. Era pronto, e rimanere con le mani in mano non era una sensazione che gli era mai piaciuta, in maggior modo quando l'ansia lo rodeva dall'interno.

Aveva bisogno di fare qualcosa. Qualunque cosa.

Aveva bisogno di parlare con qualcuno, ma a parte Simon, che aveva già messo in chiaro che non l'avrebbe aiutato, non avrebbe saputo di chi potersi fidare.

La realizzazione arrivò subito dopo, e Noah si ritrovò persino a sorridere, domandandosi come avesse fatto a non pensarci prima.

Folksir. Avrebbe confessato tutto a Folksir.

Sollevato, si affrettò alla porta e la spalancò, scontrandosi poi contro la persona che era lì fuori in attesa, sul punto di bussare.

Noah si lamentò e fece un passo indietro, per poi aprire gli occhi che aveva chiuso durante lo scontro. Li spalancò quando, davanti alla sua porta, trovò Livia, una stessa espressione di dolore a contrarle i lineamenti affilati.

«Livia!» esclamò. «Sono mortificato, non ti ho vista.»

La ragazza allontanò la mano che si era portata al naso, e sorrise. «L'ho notato.»

Noah le sorrise a sua volta, dispiaciuto, e poi aggrottò la fronte. «Cosa ci fai qui?» le domandò, sperando che l'intonazione brusca che aveva percepito non giungesse anche alle orecchie di lei.

«Ero da vostra sorella» gli rispose, puntando lo sguardo al pavimento, ai suoi piedi. «So che non è indicato, ma avrei davvero bisogno di parlarvi prima della cena, principe Noah.»

Noah inarcò un sopracciglio. «Livia, non ci siamo mai attenuti a queste formalità, io e te. Almeno non quando siamo gli unici a sentirci parlare.»

Livia annuì, rialzando lo sguardo chiaro nel suo. Delle iridi che, per quanto belle, non gli avevano mai acceso nessun calore nel petto. Non come avevano fatto irrimediabilmente quelle di Iris Larson dopo una sola occhiata.

Déjà vuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora