Folksir si destò per dei pesanti colpi alla porta.
Si tirò a sedere sul letto e gettò una veloce occhiata alle finestre a cui non tirava mai le tende per provare a indovinare l'ora. Fuori il temporale imperversava allo stesso modo di quando si era messo a letto, ma la luce grigiastra gli fece capire che doveva essere quasi l'alba.
Chiunque avesse deciso di presentarsi così presto alla sua porta non accennava a volersene andare. I colpi erano continui, un tuono dietro l'altro.
Sospirando, si alzò e uscì dalla camera, chiudendone la porta per affrettarsi a quella del suo studio, l'unica d'entrata per le sue stanze.
L'idea che potesse essere Nora, incapace di prendere sonno dopo il primo incontro con quella figlia che aveva allontanato da sé diciassette anni prima, lo riempì di agitazione. Era troppo stanco per essere Folksir in sua presenza, per raccogliere le energie che gli servivano per non essere Matías e non prenderla tra le braccia per consolarla e sussurrarle parole di coraggio.
Folksir non aveva mai toccato la regina.
Folksir non aveva mai sussurrato parole di cuore alla regina.
Da quando l'aveva seguita alla corte di Rocheforte, tutto quello che erano stati da bambini e ragazzi era andato perso senza alcuna possibilità di essere ritrovato.
Aprì la porta con titubanza, per poi rilasciare un sospiro tra il sollevato e il sorpreso quando il suo sguardo incontrò gli occhi nocciola di Noah.
Subito dopo, però, domandò allarmato: «È successo qualcosa?».
Nonostante il primogenito passasse spesso a trovarlo, non l'aveva mai fatto a quelle tarde ore. Inoltre, appena la luce delle torce del corridoio inondarono il suo volto, notò che era devastato. La tristezza e il dolore erano sentimenti troppo labili per descrivere quello che esprimeva.
«Mi odia» disse il ragazzo, un mormorio che Folksir percepì appena. «Mi disprezza, e ha tutte le ragioni per farlo.»
Folksir strabuzzò gli occhi, sorpreso sia da quelle parole che dal loro senso di arresa. «Chi?»
Noah si coprì il volto con una mano. «Sono stato uno stupido» continuò, alzando il tono di voce. L'eco rimbombò per il corridoio vuoto. «Stupido ed egoista.»
Nel momento in cui si scoprì il viso, lasciando ricadere il braccio lungo il corpo, Folksir sussultò.
Stava piangendo.
«Perché non vieni dentro, Noah?» lo invitò, scostandosi dall'uscio.
Lui annuì e si fece avanti, perdendo il sostegno dello stipite della porta a cui si era appoggiato quando lui l'aveva aperta. Inciampò nei suoi passi traballanti, così Folksir si affrettò a sorreggerlo.
A quella vicinanza riuscì a sentire l'odore di alcol che si diramava dal suo fiato pesante.
«Sei ubriaco?» gli venne spontaneo domandare.
Noah scoppiò in una risata sarcastica. «Ho provato ad annebbiare i miei pensieri, e invece i liquori non hanno fatto altro che renderli più consistenti.»
Folksir grugnì quando il ragazzo si lasciò andare con tutto il peso del corpo su di lui, e lo accompagnò a una stanza attigua, il luogo in cui visitava i suoi pazienti in privato. Era una camera semplice e spoglia, con solo un letto singolo, qualche sedia comoda e diversi armadi e madie che custodivano gli strumenti del suo mestiere.
Fece sedere Noah sul letto e si allontanò da lui, sperando che senza il suo sostegno non cadesse in avanti a terra.
«Sdraiati» gli disse.

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Déjà vu
RomanceIris Larson, delle sue origini, non sa niente. Salvata per miracolo da un naufragio, è approdata ancora in fasce in un tranquillo paese costiero del regno dei Monvisi, che non ci ha pensato due volte ad accoglierla e crescerla come fosse sempre stat...