40 - Futuro

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Il mondo scomparve.

Dal momento in cui lui e Iris si trovarono alle stalle, dal momento in cui lui la aiutò a salire su Arya, dal momento in cui lui salì in groppa al cavallo di suo fratello e partirono, il mondo smise di esistere.

C'erano solo lui e lei, neanche più lo scorrere del tempo.

Si allontanarono dalla reggia, da Huron; superarono il fitto bosco, presero una strada di montagna dove la neve persisteva nonostante gli ultimi giorni di sole; cavalcarono in silenzio, senza sentire il bisogno di parlare, se non per quando Iris sussurrava domande interessate sui dintorni e lui si affrettava a rispondere per saziare ogni sua curiosità.

Iris rimase sempre immersa nel paesaggio, Noah in lei. La osservò di sottecchi, senza preoccuparsi di tenere d'occhio la strada. La conosceva a memoria, così poté imprimersi nella mente, e nel cuore, il viso di lei, poté imparare a memoria ogni sua espressione.

E il volto di lei fu colmo di espressioni, mentre guardava la natura che accompagnava la loro strada: meraviglia, tenerezza, bellezza, dolcezza.

Noah dovette reprimere un milione di attimi in cui provò il desiderio di raggiungere le redini di Arya per fermare i cavalli e sporsi verso di lei per baciarla.

Resistette, pensando che li avrebbe recuperati una volta arrivati al luogo che voleva far conoscere a Iris tanto quanto aveva desiderato farle conoscere la serra.

E ci arrivarono in tempo, poco prima dell'alba, quando il cielo notturno cominciò a rischiararsi della prima e delicata luce del mattino.

Noah, che fino a quel momento non aveva potuto fare altro che sperare che il sole nascesse libero dalle nuvole e dal grigiore di Huron, scese da Borges colmo di felicità per la certezza che avrebbe potuto far assistere Iris lo spettacolo mozzafiato.

Si avvicinò ad Arya per aiutare la ragazza a smontare. Le mani di lui si posarono, scosse, sui fianchi di lei. Quando alle stalle aveva compiuto lo stesso gesto per aiutarla a salire sul cavallo, Noah aveva ringraziato il buio della notte attorno a loro per avere mascherato il rossore che aveva accaldato le sue guance.

Iris non l'aveva notato, e non lo notò nemmeno adesso. Il suo sguardo non riusciva a stare fermo, correva sul paesaggio per scoprire il luogo che lui aveva definito come il suo posto del cuore.

Le cascate di Hydeva non erano le più imponenti del loro regno, ma erano quelle che Noah preferiva. Tanti piccoli fiumiciattoli arrivavano lì dopo un lungo viaggio dalle montagne dei dintorni, e trovavano un dislivello dal quale le loro acque cadevano in picchiata libera per fluire poi in un grosso bacino chiuso, dove restavano a ristagnare.

Il salto che compivano non era così alto da renderle memorabili – Noah ne aveva viste di molto, molto più alte –, ma era la quantità dei piccoli rivoli che si ammassavano all'unisono verso il precipizio a rendere quel luogo magico. I fiumiciattoli si riunivano sull'orlo della roccia scoscesa, formando un'unica, larga e maestosa cascata.

D'estate il rumore era assordante, totalizzante. Noah aveva provato più e più volte il desiderio di entrare in quella pozza blu cristallina per mettersi sotto il getto impetuoso dell'acqua, attirato dalla sua naturale musica frastornante.

Adesso, invece, regnava il silenzio più assoluto. Durante i mesi invernali, tutto si ghiacciava. I fiumiciattoli, il bacino, la cascata. Dal giorno alla notte, l'acqua corrente diventava ghiaccio, il tempo incurante se quella fosse all'inizio, nel bel mezzo o alla fine del suo salto.

Per mesi e mesi, la cascata rimaneva in stallo, sospesa nell'atto, impossibilitata a portare a termine la sua caduta.

Per mesi e mesi, in quel luogo, il tempo si fermava, fino a quando il primo tepore primaverile scioglieva il primo fiumiciattolo, e poi il secondo, e il terzo, e l'acqua ritrovava la sua forza, spaccando il confinamento dell'inverno.

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