37 - Sogno

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Iris fuggì da lui, scivolando fuori nella notte e scomparendo veloce dalla sua vista, e Noah rimase immobile, nessuna forza per far risuonare la voce, il suo desiderio.

Rimani con me.

Iris fuggì da lui, lasciandolo nel silenzio e nella rovina del suo animo.

Non so come, ma rimani con me.

Iris fuggì da lui, senza neanche dargli la possibilità di guardare un'ultima volta dentro i suoi occhi.

Torna qui.

E Noah rimase fermo, senza neanche pensare alla possibilità di mettersi in moto per seguirla.

A che scopo?

E Noah rimase fermo, il cuore scalpitante nel petto, un dolore continuo contro la gabbia toracica.

Mi ha ascoltato, e ora devo lasciarle questa scelta.

E Noah rimase fermo, consapevole che lei stesse prendendo la decisione giusta, consapevole che stesse avendo il coraggio di compiere quello che lui non era riuscito a fare.

E allora perché fa così male?

Noah chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, alla ricerca dell'aria fresca e vitalizzante che in quel luogo aveva sempre riempito i suoi polmoni nelle sue notti solitarie.

Ma Iris se l'era portata via tutta, insieme alle sue iridi.

Riaprì le palpebre, in affanno, e si fece forza per dare le spalle alla porta d'entrata, per fuggire al vuoto che lei aveva lasciato con la sua fuga.

Non indugiò come suo solito sulla coltivazione di iris, e si inoltrò nella serra lanciandogli solo un'occhiata sfuggevole che riuscì lo stesso ad aprirgli un piccolo taglio sanguinolente sul cuore.

Da quando aveva incontrato Iris, persino quei fiori non sembravano più gli stessi, non sembravano più avere lo stesso colore, le stesse sfumature che l'avevano sempre rapito. Per quanto belli rimanevano, Noah aveva iniziato a pensare che fossero solo una pallida imitazione delle sue iridi.

E lui non aveva bisogno della finzione, aveva bisogno di quelle vere.

Si avvicinò alla panchina su cui aveva conosciuto la sua risata piena, alla buganvillea illuminata dalle lucciole vicino la quale aveva conosciuto la consistenza del corpo di lei sotto i suoi palmi, al luogo in cui avevano parlato di destino e aveva pensato che lei potesse essere il suo che tanto aveva aspettato, all'angolo in cui aveva capito di essere irrimediabilmente perso.

E come quella notte, Noah si sentì totalmente perso, anche se in una maniera differente.

Si sedette sulla panchina, la schiena ricurva in avanti sotto il peso della sua vita comandata, schiacciato dalle pareti della sua gabbia dorata.

Cosa avrebbe fatto adesso? Come avrebbe potuto continuare a convivere con quei sentimenti non che sarebbero mai stati ricambiati? Come avrebbe fatto a sopportare la sua presenza alla reggia? Come avrebbe potuto accontentarsi di incrociare il suo sguardo da lontano? Come avrebbe fatto a convivere con il desiderio masochista di avvistarla anche solo per un momento tra i corridoi? Come avrebbe potuto affrontare le cene in sua presenza senza sentirsi perennemente sotto tortura?

Cosa ho fatto di sbagliato per meritarmi tutto questo? Non l'ho chiesto io, non l'ho chiesto io di nascere così, nessuno mi ha mai chiesto il permesso.

Noah si ripiegò ancora di più su sé stesso, i gomiti alle ginocchia, la testa tra le mani. Chiuse gli occhi quando sentì delle lacrime calde solcargli le guance.

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