Capitolo 7

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 «Eleonora, tua sorella è rimasta bloccata in un aula durante il terremoto, le è crollato un muro sulla parte inferiore del corpo. Quando l'abbiamo trovata aveva già perso i sensi, la stanno portando in ospedale d'urgenza».

Il prof, non sapevo nemmeno quale,  mi bruciò velocemente con quelle parole, sparate senza preavviso. Lui continuava a parlare, ma io non lo stavo più ascoltando. 

Non stavo più facendo attenzione a niente. 

In quel momento mi raggiunse anche James, l'unico che mi rimase vicino anche quando l'insegnantesi spostarono e la confusione prese il posto di tutto il resto. 

Lui rimase in silenzio, anche se sapevo che avesse mille domande per la testa. Mi offrì la sua bottiglietta anche sapevo che fossero ore che non beveva, mi riportò vicino alla siepe, anche se sapevo che avrebbe potuto tornare a casa improvvisamente. 

Mi sentii al sicuro... Senti che avevo voglia di parlare, di dargli delle spiegazioni, e mi rivolsi finalmente a lui. 

«Io e mia sorella non parliamo da mesi» la mia voce tradì di sofferenza, ma lui si limitò ad annuire senza forzare il mio racconto. «Lei, è sempre stata l'unica persona che sentivo parte di me, e davvero non... Quando li ho visti, non lo so. E' stato come se lei dimenticasse ogni cosa, non solo dei miei sentimenti. E' stato come essere traditi da se stessi...da Noemi, mia sorella» con tutta la forza che avevo cercai di mostrarmi fredda, James però, con poche parole distrusse il muro che mi ero costruita. 

«Tu però le vuoi bene comunque», «eh» ingoiai un groppo di saliva, nella speranza che anche il nodo che avevo in gola si sciogliesse. «Tu le vuoi bene comunque», ormai sconfitta dalle mie stesse parole, mormorai «una cicatrice rimarrà sempre una cicatrice, e se a fartela è stata una persona a cui tieni, fa ancora più male».

 Non alzai lo sguardo, sentivo di essere vicina alle lacrime.

 «Eleonora, questo non ti impedisce di volerle bene e tu gliene vuoi ancora. Altrimenti non indosseresti sempre quella collana». «Davvero ci hai fatto caso?», «io noto i dettagli, non montarti la testa» mi rimproverò con una risatina. «Le tue cavolate mi fanno ridere, Fenomeno», «era questo l'obiettivo» si passò una mano tra i capelli, poi il suo sguardo sembrò addolcirsi.

 «Ora torna a casa, i tuoi genitori saranno preoccupati a morte», «anche i tuoi», «già». 

Forse erano state le troppe emozioni per una sola giornata, mami era sembrato di sentire la sua voce inclinarsi nel pronunciare quell'unica sillaba. 

Senza dire altro uscimmo dal cancello del cortile, io con gli occhi fissi sulle mie All Star bianche, lui con gli auricolari blu nelle orecchie. «Dovresti andare in ospedale» sussurrò prima di sparire dietro l'angolo. 

                                                             *

Mi buttai sul letto con un sospiro, avevo fatto una sciocchezza con James, ma non ero pentita. Non mi ero mai aperta con lui, in generale mi capitava di rado, io stessa non credevo a ciò che era successo. In quel momento però avevo sentito di poter parlare liberamente, e ne avevo bisogno. 

Chiusi gli occhi con il viso contro il cuscino, lasciando che la mia mente ripercorresse i momenti appena vissuti. 

Ero tornata a casa obbligando ame stessa a non pensare, trovando i miei genitori che mi aspettavano preoccupati. Erano due persone così diverse, eppure si erano comportati nello stesso modo appena mi avevano visto. Mi avevano abbracciato. 

Poi mi era seduta sul divano, ero rimasta lì mentre gli raccontavo del terremoto, dell'ambulanza. Rimasta lì mentre la mamma mi preparava una delle sue tisane calde per calmarmi. 

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