Capitolo 13

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Eleonora

Quando mi svegliai era già mattina inoltrata, finalmente quel freddo che mi si era attaccato alla pelle era sparito. 

Mi sentivo tranquilla e riposata. Ok, in realtà ero anche felice per la lezione di skate con James, prima però volevo andare da Noemi. 

I miei genitori sarebbero partiti prima di pranzo, perciò avrei dovuto sbrigarmi. Non gli avevo ancora detto nulla a loro anche perché avrebbero chiesto una spiegazione e non potevo dargliela, dato che non ce l'avevo neppure io. 

Quel giorno avevo urlato così tanto... Che la gola aveva iniziato a farmi male, ma niente era stato paragonabile alle fitte che sentivo nel petto. Mi era sembrato che mi avessero infilzato il cuore, il dolore mi strappava quasi il respiro, e quello non era passato nemmeno dopo giorni. La avevo evitata in ogni modo per dimenticare quelle sensazioni. 

Adesso però l'unica cosa che volevo era parlare con mia sorella. Non capivo nemmeno io il senso ma sapevo che volevo chiacchierare con lei, anche se tramite sussurri perché era ancora troppo debole, anche se ci saremo raccontate cose stupide e insignificanti. 

Ne avevo bisogno. 

Questa volta in ospedale entrai nella sostanza un po' più serena e sicura, sperando di trovarla sveglia e per fortuna notai che lo era. Sembrava anche lucida e guardava il telefono con poco interesse. 

«Ehi» bussai piano sulla porta, anche se ormai era già aperta per metà. 

«Speravo tornassi» fu il suo saluto appena mi vide, accompagnato da un sorriso. 

«Certo, mica potevo lasciarti qui da sola», «sei rimasta con me quando ho avuto l'attacco di panico», «stai bene adesso?», «sì» lo mormorò quasi come se si vergognasse a parlarne, come se si vergognasse di essere stata vista in quel momento. 

«Posso avvicinarmi?» scherzai, se non voleva toccare l'argomento andava bene, non l'avrei forzata. Potevamo parlare d'altro. 

«Certo Ely, vieni qui» abbandonai lo zaino sul pavimento e mi sedetti sul bordo del letto, ma il tessuto rovinato dello zaino non nascose neanche un po' il rumore sordo che provocò cadendo a terra. 

«Cosa ci hai messo lì dentro?» mi interrogò Noemi con un sopracciglio alzato, «e come ti sei vestita?» chiese di nuovo. 

Si era accorta solo in quel momento del mio look composto da All Star, leggings neri, maglietta a quadri bianchi e neri semplice e coda alta con solo qualche ciuffo lasciato libero. 

«Devo uscire con lo skate» spiegai tranquillamente, «e perché ti sei vestita così?», «devo fare una lezione di skate ad un mio compagno» finsi indifferenza, ma Noemi si stava già facendo più curiosa. « A chi?», «è nuovo. È arrivato nella nostra classe qualche mese fa, esce insieme a me, Valentina e Blake». 

«Quindi è tuo amico» più che una domanda sembrava un'affermazione ma dal suo sorrisetto sapevo già dove volesse arrivare. 

«E tu ti prepari in questo modo per una semplice lezione con un tuo amico?» stava già ridacchiando. 

«Guarda che so ancora come zitti, non mi sono dimenticata che il solletico è il tuo punto debole», «non puoi farmi nulla. Anche io so come difendermi» mi arresi ridendo, anche perché non volevo stancarla troppo. Mi sfilai le scarpe nascondendole sotto il letto e mi sistemai seduta a gambe incrociate in fondo al letto. 

«Come sono le giornate qui?» intorno a me c'erano solo pareti bianche e spoglie, sembrava noiosissimo. «Leggo, guardo il telefono, al massimo studio qualcosa» prese tra le mani il libro che aveva accanto al letto, lessi il titolo di fretta "Cose che non abbiamo mai superato. Romanzo", ma notai che era quasi finito. 

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