Capitolo 8

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Noemi

Dopo lunghi minuti di tentativi riuscii finalmente a sollevare le palpebre. Ma me ne pentii all'istante perché le luci bianche dei LED mi abbagliarono gli occhi. Sbattei freneticamente le ciglia nella speranza di eliminare quei lampi che mi annebbia la vista, e lentamente il mondo riprese una forma e dei colori. 

La testa era troppo pesante per sollevarla, così mi limitai a far scorrere lo sguardo intorno a me, le pareti erano azzurrine, le lenzuola chiarissime, e un "bip" continuo e fastidioso era l'unico rumore che percepivo oltre al mio respiro regolare.

 La polvere, il buio caldo e soffocante, la paura, le fitte a diverse parti del corpo, le pareti che sembravano volermi crollare addosso... Era tutto scomparso. 

Quelli erano gli unici flash che ricordavo, gli unici frammenti che mi riempivano la testa. Non riuscivo a pensare a nient'altro, una cosa però non l'avrei mai dimenticata, quell'odore. L'odore di cocco che era inciso nel mio cuore e nei miei ricordi. 

Adesso però non era un ricordo, era reale e questo significava che... I miei battiti aumentarono all'improvviso, inizia a cercarla ovunque con lo sguardo, anche se la stanza vorticava. 

Non mi calmai nemmeno quando entrò un' infermiera, che però si sedette accanto a me accarezzandomi i lunghi capelli rossi frastagliati sul cuscino. 

«Ho ricevuto visite?» domandai in un soffio, lei mi sorrise, «sono venuti un paio di volte i tuoi genitori». Ero felice che fossero venuti da me mamma e papà, ma il mio cuore divenne ugualmente di pietra. 

«Ah no, poco fa è andata via una signorina» aggiunse dopo aver parlato un momento con un altro medico, e ogni fibra del mio corpo si rianimò. «Com'era?», «io non l'ho vista. Mark dice che aveva i capelli rosso fuoco e una felpa verde», «grazie» sussurrai prima di lasciarmi andare sul cuscino.

 Ero esausta e non riuscivo a muovere le gambe, ma nonostante tutto sorrisi e mi addormentai.

James

Riuscimmo ad andare a scuola già dal martedì successivo, i controlli erano stati approfonditi ma veloci. Perciò il preside poté riaprire l'edificio e convocare gli studenti in un'assemblea in aula magna. 

Eravamo proprio lì in quel momento, anche se poco prima eravamo dovuti entrare dal cortile. L'ingresso era proprio nella parte che era crollata, insieme alla maggior parte delle aule. Era stato strano passare per i corridoi, e le crepe sui muri impossibili da ignorare, nonostante le rassicurazioni dei prof che non ci fossero spaccature profonde. La scuola era ancora avvolta in quell'atmosfera di incredulità, l'intonaco delle pareti cadute ben visibile oltre i fili rossi che circondavano quel lato della scuola, quello che senza i trattamenti di ristrutturazione aveva ceduto. 

Eppure eravamo tutti lì, gli studenti immersi nelle chiacchiere e anche i miei amici, ma Eleonora aveva lo sguardo perso. Sembrava agitata, preoccupata però non sapevo se per quello che era successo, o per altro. 

Lei era una fiamma ardente, solo il giorno del terremoto l'avevo vista vacillare, mi ero convinto che sua sorella fosse molto più importante di ciò che dava vedere. Mentre parlava di lei aveva notato qualcosa nei suoi occhi... L'unica cosa che fosse in grado di toccare la sua fiamma. Eppure vederla così vulnerabile non mi aveva dato fastidio, anzi avevo continuato a pensarci per ore... 

La voce del professore fu l'unica cosa che mi riscosse. 

«Allora ragazzi, ci troviamo di fronte ad un evento tragico, terribile e come sapete e probabilmente avrete anche visto con i vostri occhi il terremoto ha provocato moltissimi danni al paese e alla nostra scuola. Per fortuna qui, i feriti sono stati solamente tre, ma nel resto della zona sono stati una trentina, tra cui un decesso» l'aria scherzosa che normalmente dominava, almeno in parte, tutte le assemblee e elezioni era scomparsa perché nessuno rimaneva indifferente a quelle parole.

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