Capitolo 24

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In bagno mi sistemai velocemente i capelli, avrei dovuto farmi anche la doccia, ma ormai non facevo più in tempo, l'avrei fatta più tardi. 

Quando tornai in salotto i miei genitori erano già tornati, 

«tesoro. Eccoti qui!», «mamma, papà!» li abbraccia entrambi con entusiasmo. 

«Quindi, com'è andata la festa?», «bene, vi racconto tutto in macchina, non facciamo tardi in ospedale» notai che si scambiarono occhiate sorprese e io non potrei fare a meno che sorridere.

In auto però, come promesso dovetti raccontare della festa, anche se dimenticai di nominare James e la nostra serata. 

Dopo un po' sembrarono soddisfatti, così smisero di farmi domande e io appoggiai la testa al finestrino gli occhi fissi sul cielo azzurro, dietro il vetro, finché l'edificio bianco e spoglio dell'ospedale non apparì davanti a me. 

Con un gesto spontaneo sfiorai la collana da cui non ci separavamo mai né io né lei. 

Sorrisi pensando che finalmente non sarei più entrata lì ogni settimana con l'angoscia, sorrisi pensando che oggi Noemi tornava a casa.

Noemi

Controllai per l'ennesima volta in pochi minuti l'orologio, sperando non facessero tardi. In realtà mancava ancora un quarto d'ora ma io li aspettavo da tutta la mattina. 

Per intrattenermi stavo finendo di sistemare il borsone con i miei vestiti, la roba era tutta piegata sul letto, grazie all'aiuto delle infermiere, dovevo solo riporla al proprio posto. 

Sistemai le mie diverse paia di leggings e spingendo sulle ruote arrivai dall'altra parte del materasso. 

Già, riuscivo a muovermi solo in sedia a rotelle. Facevo riabilitazione da diverse settimane, eppure anche solo sollevare una gamba era una fatica immensa, camminare era... impossibile.

Sarei tornata quella di prima, me lo diceva a tutti, in realtà però non sarei mai tornata quella di prima. 

Perché prima, ogni volta che sentivo un rumore improvviso non mi saltava il cuore in gola, non mi si spezzava il respiro e non mi travolgeva il panico. Prima, la sensazione di essere bloccata tra la polvere non mi catturava la mente più volte al giorno... 

Dei passi mi salvarono dai miei pensieri, dei passi che avevo imparato a riconoscere. 

I primi, eleganti e regolari, erano della mamma, gli altri più leggeri di Eleonora e gli ultimi, lenti e pesanti, di papà. 

Erano arrivati. 

Un attimo dopo apparvero davanti alla porta già aperta e finalmente riuscii a sorridere.

Entrarono lentamente nella stanza, Eleonora però lì superò per venirmi incontro... E abbracciarmi. 

La strinsi forte a me, chiudendo gli occhi tra i nostri capelli rossi, ero con mia sorella, dopo quasi un anno. 

«Ho un piano per stasera» sussurrò e io sorrisi della sua espressione furba. 

Ancora circondata dalla morbidezza della sua felpa, vidi i nostri genitori guardarci emozionati senza dire nulla, le mani unite. 

Quando mi lasciò andare fui io ad avvicinarmi a loro, sorrisi cercando di alleggerire un po' l'atmosfera, «quanto tempo che non ci vediamo» scherzai, dato che avevano passato la sera precedente qui con me. 

«Ehi, come ti senti?», «più forte di ieri»,

in fondo tutte quelle vitamine colorate che mi davano funzionavano, almeno un po'

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