Capitolo 39

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James

Ci avevo provato, ci avevo provato a dimenticarla, dimenticare ciò che era successo, cancellare i suoi occhi e la sua risata, che in fondo come lei.
Una fiamma, luminosa, forte, ipnotizzante, semplicemente bellissima. 

Ci avevo provato a tornare ciò che ero prima che le sue parole mi si cucissero sottopelle. 

Lei era brava con le parole. D'altronde, era una scrittrice eccezionale. 

Avevo provato a dimenticare ogni ricordo, ma quando tornai tra le pareti distrutte che insieme avevamo aggiustato, perfino ignorare quelle sensazioni divenne impossibile, così come non notare la sua presenza che colorava il muro in silenzio. 

E quando la affiancai, il silenzio divenne anche parte di me. 

Io amavo il silenzio.
Permetteva di riordinare i pensieri, calmarsi, immergersi nel proprio mondo, ma adesso lo odiavo.

Quel silenzio, con lei, non lo sopportavo. 

Un silenzio tanto pieno di pensieri, parole non dette, paure e sguardi vuoti da risultare rumoroso. 

Oppure muto.
Lo dovevo ancora capire. 

In ogni caso, era troppo. 

Lo sentivo gelido sulla pelle e stretto nel petto. 

Dovevo uscire. Così fuggii senza nemmeno voltarmi, non volevo rischiare di incontrare il suo sguardo, perché sapevo che quelle iridi chiare mi avrebbero fatto impazzire.

Eleonora

Mi lasci andare un verso di sconforto mentre raggiungevo Vale fuori da scuola. 

«Io non...», accidenti. 

Era troppo difficile far uscire tutto a parole. 

Sospirai ancora con la gola troppo chiusa per dire qualsiasi cosa. 

«Oggi abbiamo visto James uscire da scuola mentre noi passavamo lì davanti...»,
«già». 

Aspetta, noi chi?

«Tu e...?», «Blake» rispose concisa. 

Mi feci subito curiosa. 

«Vale...», non mi sfuggì il suo sguardo e l'occhiataccia che mi lanciò quando notò il mio sorrisetto ne fu soltanto una conferma. 

«C'è qualcosa che devi dirmi?»,
«no», i suoi occhi continuarono a brillare. 

«Tra te e Blake c'è qualcosa?»,
«nooo» ma lo disse con quel tono che poteva significare mille cose, tranne che no. 

*

Più tardi, ad ora di cena, mi ritrovai a confondere il vociare di casa con il frastuono dei miei pensieri. 

«A tavola!», avevo una poesia in testa e avevo bisogno di scriverla. 

Per fortuna che avevo già finito tutti i compiti. 

«Me lo passi?»,
«ma non è nulla, ce lo hanno consegnato oggi a scuola, è per un progetto dell'anno prossimo...».

Chissà come sarebbe stata la scuola l'anno prossimo

Speravo che tutti i lavori di ristrutturazione fossero già terminati, così da lasciare quel terremoto nel passato. 

Io e James dovevamo finire di sistemare quell'aula... 

L'idea di trascorrere un altro pomeriggio in quel piccolo ambiente con lui, in silenzio, con il cuore impazzito, per poi vederlo andarsene senza neppure riuscire ad incrociare le sue iridi scure, mi fece passare la voglia di mangiare. 

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