Capitolo 37

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Eleonora

«Noemi!», accadde tutto troppo in fretta. 

Un attimo prima stavo sbirciando il corridoio dalla porta socchiusa, l'attimo dopo vidi mia sorella crollare a terra, tremare in preda ad un terrore che non potevo vedere. 

Non di nuovo

Con una mano stringeva piano il tessuto dei jeans, mentre il resto della gamba era coperta dal materasso. Gli occhi vitrei erano persi nel vuoto, ma riuscivo ugualmente a capire cosa le macchiasse il cuore. 

«Va tutto bene, non sei più là» la presi in braccio come una bambina per liberarla dal materasso, «Noemi», lei però non mi sentiva, non era più qui. 

Era in un mondo lontano e terribile che la strappava via senza il suo consenso.

«Aiuto! Dottoressa, aiuto! Noemi...» mi si spezzò il fiato. 

Tremava, tremava senza sosta, i brividi non le concedevano neppure il tempo di riprendere fiato.

Cos'era la mia sofferenza di fronte alla sua? Di fronte ai suoi mostri che non la lasciavano respirare? 

«No, ti prego» eruppe in un singhiozzo aggrappandosi alla mia felpa. 

«No, no, no, no, no, no» ripeté in preda ad un pianto convulso che non sapevo come placare.

«Che succede?» l'infermiera di prima entrò finalmente dalla porta, in mezzo minuto sedarono Noemi, che piano piano si addormentò su una barella. 

L'urlo muto nei suoi occhi si spense, e insieme a lei mi sgretolai anch'io. 

*

Riposava, per fortuna, ma sapevo che fosse un sonno tormentato. 

La guardavo con il cuore pesante da oltre il vetro della sua stanza, non volevo entrare e disturbarla, ma per nulla al mondo me ne sarei andata. 

Da appena dieci minuti avevo telefonato ai nostri genitori per dirgli ciò che era successo e li avevo rassicurati. Perché i medici prima avevano rassicurato me. 

Aspettavo solo che lei si svegliasse, anche se sapevo che le faceva bene dormire. 

Rimasi lì un tempo infinito, poi mi decisi ad infilarmi in quella stanza che speravo non dover mai più rivedere. 

«Ehi, so che non stai dormendo», «come hai fatto ad accorgertene?». 

Non si mosse, rimase nella stessa posizione di quando l'avevano stesa lì i medici, ma la sua voce flebile vibrò nella stanza. 

«Ti devo forse ricordare che da piccola mi occupavo io di controllarti durante la nanna? So riconoscere quando dormi o quando fingi solo di farlo» ridacchiai, però Noemi non fece lo stesso. 

Così cercai di sbirciare il suo viso, nonostante il lenzuolo, e notai i suoi occhi spenti di lacrime.

«Perché piangi?», «me lo chiedi pure?», conoscevo mia sorella, stavo solo tentando di nascondere il pianto, con scarsi risultati. 

«Non sono riuscita a stare in piedi nemmeno tre minuti ed ero attaccata alla sbarra e poi mi sono fatta a fregare dal panico»,
«non puoi sfuggire al panico e durante la fisioterapia hai fatto del tuo meglio», 

«e se il mio meglio non fosse abbastanza?» sussurrò spezzata senza permettermi di incrociare il suo sguardo. 

«Sono un disastro, perché tutti credono in me, ma io non ce la faccio». 

Una lacrima sfuggì al suo controllo e lei velocemente si preoccupò di cancellarla, con un gesto confuso della mano. 

«"Le lacrime sono la parte più pura di ognuno di noi..."» mormorai rompendo le distanze per raccoglierle una goccia che le scivola giù per la guancia. 

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