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HEAVEN

Sono passate due settimane.
Due settimane che abbiamo vissuto spensierati, divertendoci, e non pensando a nulla.
Ma adesso è arrivato il momento di affrontare ciò che ci aspetta. Adesso non possiamo più scappare.

Prendo un profondo respiro, ed esco dal pick-up di Ryan. Siamo davanti all'edificio in cui sono rinchiusi i prigionieri. Tra cui mia madre ed Helios.

Sono qui perché devo parlare con mia madre. Devo convincerla ad aiutarci a trovare un modo per rendere il pianeta abitabile. Non che abbia molto scelta, a dire il vero, devo farlo e basta. Ora saremo noi ad usarla. E non appena finirà il suo lavoro, verrà giustiziata, come è già stabilito.

'Dovete decidere come volete che vostra madre verrà giustiziata' ci è stato detto.

Devo decidere come mia madre deve morire.

Nessuno a diciotto anni dovrebbe prendere decisioni del genere. Nessuno dovrebbe anche solo trovarsi a pensare a una cosa del genere. Mai e poi mai.

Come voglio che mia madre venga giustiziata? Una parte di me vuole che accada tutto in fretta. Un colpo di pistola e via, oppure del veleno, così che non mi tocchi a vedere la sua faccia. Ma un'altra parte di me vuole che soffra. Vuole che soffra come ci ha fatto soffrire lei. Allo stesso modo.

Voglio vederla legata ad una sedia con delle manette elettriche. E questa volta, voglio essere io a tenere in mano il telecomandino. Questa volta voglio essere io a vederla urlare dal dolore, come lei ha guardato sua figlia.

Forse questo non mi rende molto diversa da lei, ma perché dovrebbe meritarsi una morte veloce ed indolore, dopo che ha ucciso e torturato ragazzini e bambini innocenti? Perché dovrebbe passarla liscia, quando ci ha quasi ammazzati tutti?

«Signorina Heaven, prego, da questa parte», dice un signore con indossa una divisa blu.

Camminiamo lungo un corridoio, fino a che raggiungiamo la stanza degli interrogatori. Entriamo, e la porta viene chiusa alle nostre spalle. La stanza assomiglia un po' a quella che usavano per controllarci mentre ci facevano fare i test. Ha lo stesso vetro scuro che ci permette di vedere chi si trova dall'altra parte della stanza, senza che gli altri vedano noi.

Ma questa non è la stanza di un test.
Ed io non sono ammanettata al posto di mia madre.

La fisso attraverso il vetro, con il voltastomaco che mi sale. Se ne sta seduta, con le mani ammanettate appoggiate sopra al tavolo. Fissa la sedia libera di fronte a lei, e indossa una tuta arancione, un po' più chiara dei suoi capelli.

L'ultima cosa che vorrei è trovarmi chiusa in quella stanza con lei che cerca di farmi il lavaggio del cervello. L'ultima cosa che vorrei è essere chiusa nella stessa stanza di mia madre, dopo che ci ha torturati e quasi ammazzati tutti.

Non volevo che ci andasse Adeline, perché conosco perfettamente i giochetti mentali di nostra madre. Quindi, non vorrei che la convincesse a prendere di nuovo qualche pasticca, o roba del genere. E poi... ho già superato quella cenetta inquietante con lei, quindi posso farcela. O almeno lo spero.

Abbiamo vinto noi.
È lei che indossa la tuta da carcerata, ed è lei che ha ai polsi delle manette.

Io sono libera.
E questo, è già un bel vantaggio.

«Quando vuole può entrare, Roxanne Hale la sta aspettando.» Mi informa il signore.

«Sì, grazie.»
Prendo un lungo e profondo respiro, e mi avvicino alla porta. La apro, ed entro richiudendomela alle spalle. Sento gli occhi di mia madre fissi sui miei, ma io non la sto guardando. Non ancora.

Mi siedo, accavallo le gambe e incrocio le braccia al petto. Poi alzo lo sguardo, incrociando il suo. Stessi capelli rossi e ricci, stessi occhi verdi come i miei.

Solo l'aspetto è simile.

«È soddisfacente vederti indossare la tuta arancione da carcerata e le manette. Ti donano proprio. E il fatto che il tuo piano sia fallito, mi rende molto orgogliosa, mamma

«Sei venuta qui per deridermi? Ti mancavo così tanto?» Sorride, sporgendosi sul tavolo.

«No, sono qui perché devi dirmi quel'è la chiave per rendere il pianeta di nuovo abitabile. E tu lo sai, perché volevi questa zona verde per quel motivo. Quindi arriva in fretta al punto, non ho tempo da perdere.»

Già, non vedo l'ora di uscire da questa fottuta stanza.

Lei annuisce, mettendosi comoda sulla sedia.
«È bella, vero? C'è verde in abbondanza, e così tanta acqua che puoi persino nuotare, proprio come desideravi tu da piccola. Ci sono i fiori, veri fiori, e non disegni. È la copia del vero della stanza-giardino di casa nostra. Quando eri piccola adoravi andare lì. Ti piaceva sdraiarti nel prato sintetico, e osservare il cielo blu dipinto sul soffitto. Ora puoi farlo veramente. Non è fantastico? Il mio piano è sempre stato quello di rendere tutto il pienata così. E tu lo sai. Una volta mi ammiravi.»

«Esatto, una volta.» Ribatto.
«Prima che sapessi che razza di psicopatica sei. Ma non sono qui per chiacchierare con te. Qual'è la chiave?» Chiedo, arrivando in fretta al punto.

«Non lo so.» Mi guarda e ride, un suono così folle da farmi rizzare i capelli.
«Dovrei fare ricerche, ovviamente. So che la chiave potrebbe trovarsi nel terreno di questo territorio, oppure nell'ossigeno, o magari nell'acqua. Ma non so di preciso quale sia. Come potrei saperlo? Volevo la Zona Verde per questo motivo.»

«Sì, immaginavo. Per questo motivo farai le tue ricerche, insieme ai tuoi fottuti amichetti. Sarai sorvegliata ventiquattr'ore su ventiquattro, e se farai anche solo qualcosa che possa metterci a rischio, ti uccideremo prima che tu possa provarci. Intesi?» Appoggio le mani sul tavolo, fissandola negli occhi.

«E cosa ci guadagnerei ad aiutarvi? Se riesco a rendere il pianeta di nuovo abitabile, voi mi ucciderete prima ancora che possa vederlo. Quindi perché dovrei collaborare?» Ribatte lei, facendosi più indietro.

«Perché quello è sempre stato il tuo obiettivo. Hai sempre voluto rendere il pianeta nuovamente abitabile, e non butteresti via una vita intera di ricerche per uno stupido capriccio. O muori, o muori provandoci. Non hai scelta. Ma fossi in te ci proverei. I Terrestri non vedono l'ora di avere la tua testa. Ma forse, se il pianeta tornerà verde, avranno un po' più di pietà, non credi?» Mi alzo dalla sedia, e mi dirigo verso la porta.

Ora sa quello che deve sapere.
Non ho alcuna intenzione di passare un'altro secondo qui dentro.

Metto la mano sulla maniglia, ma prima che potessi aprirla sento lei dirmi: «Thomas come sta?»

Mi volto verso di lei, l'ira che mi scorre nelle vene. Sento il mio corpo iniziare a bruciare, e la temperatura salirmi alle stelle. Se non perdo il controllo tutto questo maledetto posto si scioglierebbe, lei compresa.

Come sta Thomas?
Come sta dopo che ci hai fatto credere di averlo ucciso il giorno del suo compleanno, e dopo che mi hai torturata per scoprire dove si nascondesse così da usare anche lui?
Sul serio? Mi chiedi come sta?

Mi volto verso di lei, e incrocio il suo sguardo.
Se volessi potrebbe prendere fuoco.
Ma no, lei merita di peggio.

Sorrido, e le dico: «Sta benissimo. Ora ha una madre che lo ama, e quella madre non sei tu.» E me ne vado.

𝑷𝑶𝑾𝑬(𝑹𝑬𝑫)  -𝒾𝓃𝒻𝑒𝓇𝓃𝑜 𝑒 𝓅𝒶𝓇𝒶𝒹𝒾𝓈𝑜-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora