Un suono insistente mi svegliò, continuava a squillare e squillare e...
Oh cazzo era il mio telefono! Mi alzai dal letto di scatto svegliando anche Lucas. Mi chinai a terra dove avevo lasciato la borsetta, e presi il cellulare, rispondendo subito.
«Tiff» mi chiamò la voce di Nash al di là del telefono.
Mi alzai barcollando, e per poco non caddi. Di mattina appena sveglia dovevo trovare stabilità.
«Nash che c'è?»
Lucas mi stava fissando, con la faccia schiacciata sul cuscino. Era così bello e sexy anche con quell'aria disordinata e assonnata...
«Devi venire subito a casa» rispose con tono grave.
«Ma che cosa...»
Mi interruppi perché Nash aveva già riattaccato. Guardai Lucas.
Cosa poteva essere successo?***
Notai subito un'auto bianca parcheggiata quando arrivammo di fronte a casa mia. Tolsi il casco scendendo dalla moto, correndo verso casa seguita da Lucas.
Aprii la porta ed entrai e sembrava non ci fosse nessuno, ma quando entrai in salotto ciò che vidi mi fece diventare le gambe molli come gelatina. Il mio cuore accelerò e sentii sempre più caldo.
Mio padre era in piedi, di fronte a me.
Era...diverso. Aveva un'aria più curata di quando se n'era andato, e indossava giacca e cravatta.
I capelli erano tirati indietro dal gel, e i suoi occhi scuri erano svegli come me li ricordavo.
Una volta le onde dei suoi capelli erano leggermente più lunghe e disordinate.
Mi sentii cadere, ma un braccio mi sosteneva. Lucas era ancora lì e sembrava aver capito la situazione.
«Ciao Tiffany» disse con la sua voce profonda mio padre.
Spostò lo sguardo sul ragazzo alle mie spalle che ancora mi teneva il braccio, ma non gli diede peso.
Provai a spostare lo sguardo ma i miei occhi erano appannati dalle lacrime. Riuscii a distinguere mia mamma seduta sul divano, sconvolta e con gli occhi lucidi. Provai dispiacere per lei e mi sentii in dovere di difenderla.
Nash era in piedi sul tappeto e teneva lo sguardo basso, mentre Ben mi osservava come per darmi conforto. Beth non era in casa per fortuna.
«C-ciao?» mormorai incredula.
La tristezza venne improvvisamente sostituita da un moto di rabbia. «Dopo quello che hai fatto, l'unica cosa che sai dire é "ciao"?!» quasi urlai in preda alla rabbia. La mamma era stupita della mia reazione, forse si aspettava che lo abbracciassi visto che sapeva quanto avevo sofferto della sua assenza. Ma il risultato era l'opposto: sembravo una pazza isterica.
Mio papà si schiarì la voce, tornando a guardarmi. «Io...penso di doverti delle scuse.» si voltò verso il resto della famiglia. «Le devo a tutti a dire il vero, sono venuto qui per questo»
Seguí un attimo di silenzio.
«Lucas potresti...» cominciò a dire Ben, invitando l'amico ad andarsene.
Lucas annuì e fece qualche passo indietro, ma io lo afferrai per un braccio. Non volevo che se ne andasse. Era l'unico che poteva farmi mantenere la calma necessaria per non prendere a borsate mio padre. Ben non si oppose, e neanche gli altri.
«Come facevi a sapere che eravamo qui?» chiese Nash alzando lo sguardo dalle sue Vans.
Mio papà si sedette sulla poltrona di fronte al divano.
«Ho chiamato l'ospedale dove Grace lavorava nel Kansas, e mi hanno detto che si era trasferita a causa di una promozione qui a Los Angeles. Mi sono deciso a venire a chiedervi perdono.»
Deglutii cercando di trattenere le lacrime e cercando di scacciare i ricordi della mia infanzia.
«Oh e pensi che venendo qui tu abbia risolto tutto chiedendo un banale scusa?» sbraitai con una punta di nervosismo nella voce. Ero impazzita. «Ci hai lasciato una volta per tutte uscendo da quella casa ubriaco senza volerci più vedere e ora pretendi di venire qui ed essere perdonato? Non hai voluto sapere più nulla di noi, i tuoi figli.» continuai puntandogli un dito contro ma senza avvicinarmi di un passo.
«Sono stato uno stupido. Poco tempo dopo ho frequentato un programma di disintossicazione per alcolizzati e...sono migliorato. Mi sono trasferito qui a Los Angeles, e grazie ad un amico che avevo qui sono diventato proprietario di una concessionaria di automobili e...io volevo solo vedervi»
Oh ma certo, come se fosse una cosa che capita tutti i giorni. Lui si era alzato la mattina e uno stravagante pensiero era balenato nella sua mente: "ma si perché non catapultarmi nella vita dei miei figli dopo anni e anni che non li vedo!"
Mia mamma non parlava, si teneva una mano sul volto, stringendo un fazzoletto nell'altra mano e Nash si avvicinò a lei, abbracciandola.
«Sei stato uno stronzo» intervenne Ben, incrociando le braccia al petto.
Era inquietante quando manteneva la calma nei momenti più disastrosi. Sembrava pronto ad esplodere, ma non si sapeva quando lo avrebbe fatto.
«E lo sono stato per troppo tempo» ammise mio padre annuendo e appoggiando le mani alle ginocchia.
«Spero che un giorno voi possiate perdonarmi, se mai lo farete. Sono stato assente, quasi inesistente per voi.»
Fece correre lo sguardo da noi alla mamma. «E un pessimo marito»
Mia mamma alzò lo sguardo, e il suo volto era devastato.
Volevo abbracciarla ma allo stesso tempo non volevo avvicinarmi al mio cosiddetto padre.
«Tutti possono sbagliare » disse mia madre.
«No non è vero» dissi allibita.
Davvero lo stava biasimando?
«Per sbaglio non si lascia una famiglia»
Volevo andarmene da lí.
«Sei ancora qui?» chiese Ben a mio padre. «O stai per andartene di nuovo e per sempre?»
Mio padre sembrò toccato da quella domanda così cattiva, ma sapeva di meritarselo.
«Io volevo cercare di rimediare, e stare un po' insieme per recuperare gli anni persi»
Dalla mia bocca uscì una risata isterica. «Come no» dissi più a me che agli altri.
Lucas era stato in silenzio fino a quel momento, alle mie spalle, assistendo a quella scena. Sentivo solo il suo respiro e il suo profumo, ma bastavano a farmi stare calma. O almeno quasi.
«Abito in una residenza privata in centro a Los Angeles, e potete stare da me quando vi va, o anche solo passare a salutare quando vi trovate nei dintorni»
«Oh, sei pure diventato ricco ora?» sbuffò Nash.
Mio papà annuì silenziosamente, per poi alzarsi. Ci guardò per un attimo uno alla volta. «Siete cresciuti molto bene...» mormorò con lo sguardo pieno di rimorso.
«È troppo tardi per pentirsi, Ryan» dissi chiamandolo per nome.
Ormai non lo potevo neanche chiamare "papà". Non aveva mai ricoperto quel ruolo, del resto.
Girai i tacchi e uscii di casa prima che potesse farlo lui prima di me. Lucas mi seguì e mi fermò prima che io potessi camminare lungo il vialetto. Mi appoggiò le mani sulle spalle.
E mi abbracciò.
Lui mi capiva. Capiva che non c'era bisogno di parole inutili, capiva che nulla serviva a cambiare le cose.
Un abbraccio bastava.
Posò un bacio sulla mia fronte, mente qualche mia lacrima cadeva sulla sua spalla, bagnando la sua maglietta.
«Ehi» sussurrò dolcemente, asciugandomi una lacrima.
«Salta su» disse infilandomi il casco in testa.
Salii sulla moto asciugandomi gli occhi bagnati dalle lacrime e lui partì subito.***
Aveva avuto una bella idea a portarmi al bar. Mi ci voleva proprio un cappuccino.
Eravamo seduti da poco attorno a quel tavolino quadrato, all'esterno di uno dei tanti bar della città.
Eravamo coperti da ombrelloni bianchi che ci proteggevano dalla luce del sole, che scaldava l'ambiente.
«Ti regalo queste» disse Lucas passandomi un pacchetto di sigarette appena comprate. «Ti serviranno»
Senza dire nulla aprii il pacchetto e ne accesi subito una.
«Non sai quanto...»
Spostai il mio sguardo verso la spiaggia, visto che quel bar era poco distante da lì.
Il mare non era per niente calmo, e rispecchiava il mio umore.
Forse per rispecchiare il mio umore sarebbe andato meglio uno tsunami.
«Non posso ancora credere che quel coglione di mio padre si sia presentato da noi pregandoci di perdonarlo» dissi per poi ridere amaramente.
Lucas aveva un'espressione dispiaciuta, sembrava quasi mi volesse abbracciare.
Feci un lungo tiro dalla sigaretta, che pian piano mi calmava, almeno all'apparenza.
La cameriera arrivò con le nostre ordinazioni, e posò sul nostro tavolo la mia tazza di cappuccino e quella di Lucas, e in un piattino a parte due croissant al cioccolato.
«Ecco a voi» disse prima di fare l'occhiolino a Lucas e andarsene.
Scoppiai a ridere.
«É possibile che ogni ragazza che ti vede ci prova con te?»
Lui sorrise lanciandomi uno sguardo.
«Tiffany» dissi attirando la mia attenzione e facendomi smettere di ridere. Una volta sicuro che lo stessi ascoltando continuò: « Stai bene?»
Dovevo sembrargli pazza a ridere così.
«Sì» dissi annuendo lentamente e osservando il mio cappuccino.
Non vi misi lo zucchero per sentire il suo sapore e feci un sorso. «Può sembrare strano ma...la tua presenza mi ha aiutato» dissi senza pensarci.
In quel momento non mi importava il fatto che gli avessi detto qualcosa di compromettente. Speravo solo che non me lo rinfacciasse mai.
«Perché hai voluto che rimanessi?» chiese allungandosi sul tavolo, per farsi più vicino.
Scossi la testa aggrottando la fronte. «Non lo so...forse eri l'unico che poteva impedirmi di perdere la calma»
Era strano l'effetto che mi faceva. Mi faceva perdere la testa con niente, ma allo stesso tempo mi sapeva far calmare con la stessa velocità con cui scatenava in me un uragano.
Annuì strappando una parte del suo croissant.
«Ti capisco sai...» disse a bocca piena.
Alzai lo sguardo spostando l'attenzione su di lui.
«Mio papà si è sempre fatto sentire poco, perché attualmente ha ancora problemi con mia madre, malgrado il divorzio avvenuto molto tempo fa»
Non mi aveva mai raccontato la situazione dei suoi genitori, solo Rose mi aveva riferito tutto.
«Non vedi tuo padre?» chiesi spegnendo la sigaretta nel posacenere.
Storse il naso. «Non molto...sono ancora arrabbiato con lui, perché è colpa sua se hanno divorziato e se ora sono in pessimi rapporti»
Mangiai la punta del croissant ancora tiepido, ascoltando le sue parole e pensando a cosa dire.
«Mi dispiace»
A dire la verità ero tentata di chiedergli il motivo del loro divorzio, ma non volevo invadere la sua privacy, come non lo aveva fatto lui con me.
«Intendi perdonarlo?» lo sentii chiedere. Mi osservava in attesa di una risposta.
Sospirai. «Non lo so...non lo so veramente»
Mi sfiorò la mano, allungandosi ancora di più verso di me.
Quel tocco mi riportò al ricordo dell'appuntamento con Logan, quando al Rocket mi aveva accarezzato la mano, e io l'avevo scansata. Con Lucas non mi venne da fare la stessa cosa.
«Pensaci bene, lui vuole solo rivedervi e riallacciare i rapporti con voi» mi disse cercando il mio sguardo.
Alzò il mio mento, per far incontrare i nostri occhi e solo dopo continuò.
«Lui vi vuole bene, e stavolta fa sul serio. Provaci Tiff, fallo per me, perché se mio padre si offrisse di vedermi più di una volta ogni due mesi io accetterei senza pensarci due volte.»
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Fall (sospesa)
RomanceDopo quella sera, quella fottuta sera in cui mio padre ci abbandonò, tutte le mie certezze sparirono, sostituite da un vuoto. Una voragine. Tutti quegli anni passati a ereggere barriere invisibili intorno a me, tutti quegli anni passati a fidarmi d...