L'odiosissimo suono della sveglia mi destò dal mio sonno.
Allungai la mano verso il comodino, sopra cui si trovava la sveglia. La spensi, facendone cessare il suono. Mi misi seduta, cercando di svegliarmi e stropicciai gli occhi, sbadigliando.
Imprecai quando, poggiando i piedi nudi a terra trovai il pavimento gelido.
Odiavo le mattine. Tutte le mattine che quella fottuta sveglia suonava imprecavo, pensando che il coraggio che ci mettevo per scendere dal letto ogni mattina, per vedere le stesse cose, ancora e ancora era enorme.
Con questi lugubri quanto sensati pensieri, mi avviai verso il bagno collegato alla mia camera da letto. Era piccolino, ma accogliente. Le mattonelle erano sui toni dell'azzurro, e verso destra c'era il lavandino e lo specchio, con affianco WC e compagnia bella, e di fronte la doccia.
Presi l'asciugamano appeso alla porta e mi svestii, aprendo l'acqua calda della doccia.
Mi ci infilai dentro e subito le nuvole di vapore mi avvolsero, rilassandomi più del dovuto. Ma pensai che già di prima mattina non ero poi così sveglia, e che da un momento all'altro mi sarei potuta addormentare lì, quidni mi sbrigai per evitare ciò e una volta che mi avvolsi nell'accappatoio ritornai in camera mia e presi l'intimo, indossandolo.
Raggiunsi l'armadio e come quasi ogni mattina, mi soffermai per qualche minuto lì davanti, per scegliere cosa indossare.
Scelsi un maglioncino grigio e un paio di jeans neri abbastanza stretti, e strappati sulle ginocchia, infilai le mie scarpe borchiate e mi truccai e pettinai velocemente.
Trovavo veramente inutile passare troppo tempo a rendersi belle, o perlomeno presentabili, soprattutto se, come nel mio caso, non volevo dare nell'occhio, o fare colpo su nessuno. Non me ne fregava niente che gli altri mi reputassero una bella ragazza o meno.
Scesi per fare colazione e prima di uscire dalla stanza recuperai il mio cellulare e il mio zaino nero, poggiato di fianco alla porta.
Quando arrivai in cucina vidi Nash seduto a bere il suo caffè, e quando mi vide sollevò la tazza da cui stava bevendo, in segno di saluto.
«Buongiorno» dissi in tutta risposta, probabilmente con un tono che si contrapponeva a ciò che avevo appena detto, perchè Nash alzò un sopracciglio guardandomi. Sì, perché per me non era mai un buon giorno. Mai.
«Sono felice di constatare che anche oggi ti sia svegliata bene» rispose ironicamente mio fratello, sorseggiando il caffè.
Sollevai le spalle, voltandomi e prendendo la mia tazza. Sorrisi quando la vidi. No, non ero scema, ma era normale che sorridessi alla sua vista, perchè all'apparenza poteva sembrare una normale tazza bianca, con scritto "Goodmorning" a lettere nere, ma appena la si inclinava per bere, sul fondo c'era il mio amato e stimato disegnino che rappresentava una manina con un elegantissimo dito medio alzato. Elegantissimo si fa per dire.
L'avevo trovata in un supermercato un anno prima, quando ero in vacanza con Bethany e non resistetti al suo fascino; perciò non esitai un attimo di più e la comprai. La mamma la odiava, ovviamente.
La riempii di caffè, il mio amato caffè e dando uno sguardo all'orologio capii che ero in ritardo. Non che mi fosse mai importato dell'orario o della scuola, ma se non volevo sentire le urla della mamma, dovevo muovermi a uscire di casa. Anche perchè dopo la sfuriata di ieri sera non mi andava proprio di vederla o di parlarci, possibilmente fino a sera.
Finii il caffè velocemente e posai la tazza nel lavandino. «Dov'è Ben? Siamo in ritardo.»
Nash aveva diciannove anni, ma era ancora all'ultimo anno per il fatto che quando era in terza superiore aveva perso l'anno.
Lui alzò lo sguardo dal telefono che teneva in mano: «Oh, dopo la sbronza di ieri penso che non verrà a scuola, oggi.» disse prendendo il suo zaino e lo stesso feci io. Uscimmo di casa silenziosamente, visto che gli altri stavano dormendo e ci avviammo verso la fermata del bus, non molto distante da casa nostra.
Nash continuò a parlare:«Non lo hai sentito rientrare ieri notte? Cavolo, faceva un gran casino, così sono sceso e l'ho trovato in salotto, che cercava di capire se la TV avesse delle tette.»
Si mise a ridere di gusto, scuotendo la testa. Io alzai le sopracciglia, cercando di immaginarmi la scena.
«Lo prenderò per il culo a vita, puoi contarci».
Mentre sorridevo tirai fuori dallo zaino il mio pacchetto si sigarette e ne accesi una aspirando, e rilassandomi. Nash cercò di non insultarmi. Odiava il fumo. Fortunato lui.
Arrivammo alla fermata dell'autobus appena in tempo, perchè qualche secondo dopo l'autobus arrivò e io gettai la sigaretta ormai finita sul marciapiede.
Salimmo e Nash raggiunse come al solito i suoi amici negli ultimi posti al fondo. Io lo seguii ma rimasi in piedi, poco distante da loro, mettendo le cuffiette e facendo partire la musica. Amavo la musica. Se se non avessi avuto la mia dose mattutina sarei potuta morire per davvero.
Dopo una quindicina di minuti le porte dell'autobus si aprirono, segno che eravamo arrivati a scuola. Scesi dal bus come gli altri ragazzi e lanciai un'occhiataccia alla scuola, sospirando.
Questa monotonia mi uccideva proprio. Ammetto che la voglia di girare i tacchi e di saltare le lezioni e proseguire per la strada che portava in città mi allettava molto. Sentii qualcuno darmi una pacca sulla spalla, così mi voltai leggermente per vedere Nash ammonirmi con lo sguardo e allo stesso tempo consolarmi, come se mi avesse letto nel pensiero, poi mi sorpassò per entrare con i suoi amici a scuola. Sbuffai e con una smorfia schifata sorpassai le porte dell'inferno.

***

«Non puoi non venire, sarà una serata fantastica!» si lamentò Bethany, quasi supplicandomi.
Aprii il mio armadietto alzando le spalle, come per farle intendere che non ero interessata.
Lei rimase a bocca aperta. «Ma Tiff, da quando non hai voglia di festeggiare?» fece una piccola pausa, parandomisi davanti e chiudendo il mio armadietto. Mi morsi il labbro per non insultarla, perchè tutti sanno che non devono fare così con me, soprattutto lei. La fissai, incenerendola con lo sguardo e riaprendo l'armadietto e lei sbuffò.
«L'alcool, i ragazzi, la musica...perchè non vuoi venire? E poi io è da un po' di tempo che non mi faccio qualcuno...»
Per farla tacere mi degnai di risponderle. Non la sopportavo quando insisteva.
«Beth, ho detto che non vengo. Non c'è un motivo preciso, semplicemente ultimamente non mi sento molto in forma.»
Lei strabuzzò gli occhi. «Chissà perchè ogni giorno cerco di convincermi del fatto che tu non sia lunatica e pazza...»
«E perchè sarei la tua migliore amica allora?» sorrisi, facendole l'occhiolino. Comunque dovevo cambiare discorso perchè altrimenti avrebbe ricominciato a discutere della festa. Ci avviammo verso l'aula dove si sarebbe svolta la lezione di Storia Americana.
«Comunque» cominciai con l'intento di dirle un'intenzione che avevo da tempo. Entrammo in classe, dove c'erano già altri studenti che chiacchieravano. Attirai la sua attenzione e mi guardò sorridente, sedendosi nel banco di fianco al mio. Così continuai: «Pensavo di fare una cosina, questo fine settimana».
Lei aggrottò le sopracciglia curiosa di sapere. « Ho deciso di farmi un piercing».
«Oh, e io che pensavo qualcosa di più esilarante...» cominciammo a ridere, poi aggiunse: «e dove?»
«Pensavo alla lingua». Mi voltai per osservarla e lei annuì in segno di approvazione.
«E tua mamma ti lascia?» mi chiese sollevando un sopracciglio. Ovviamente lei sapeva che mia madre non mi avrebbe mai dato il permesso - e quello era obbligatorio visto che ero ancora minorenne-, anche perchè non approvava il mio stile. Ovvero lo stile del cogliere l'attimo, finchè si può.
Mi misi a ridere. «E chi ha detto che mia madre lo deve sapere?»
Lei mi sorrise complice, poi entrò il professore ed iniziò con la solita e noiosissima spiegazione che ogni mercoledì mi toccava sentire.

Fall (sospesa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora