Al suonare della campanella mi catapultai fuori dalla classe seguita da Rose.
«Hei, Tiffany. Aspetta» disse dietro di me, cercando di affrettare il passo.
Rallentai per capire cosa volesse, e me la ritrovai di fianco.
Raggiunsi il nuovo armadietto che il preside mi aveva assegnato, inserendo la combinazione e aprendolo. Le lanciai uno sguardo, mentre si tirava da parte i capelli mossi e rossi lughi fin sopra le spalle.
Mi ricordava un po' "Pippi Calzelunghe", anche per come era vestita, visto che indossava una gonna color pesca a fiori, una maglia nera con la stampa di Starbucks, dei collant neri e degli anfibi viola. Stramba e particolare.
«Che cosa c'è, Rose?» chiesi, cacciando dentro il libro e il quaderno di biologia.
«Torni a casa ora?» chiese sempre sorridendo e frugando nella borsa.
«Sì perchè?»
«Oh nulla, volevo sapere se prendevi l'autobus»
Scossi la testa, mentre chiudevo l'armadietto.
«No, oggi no, la mamma ci ha prestato la macchina. Ma da domani penso di sì.»
Rose accigliata e confusa mi guardò: «Ci?»
«Oh sì, a me e i miei fratelli» risposi avanzando verso l'uscita, affiancata da Rose.
Raggiunsi il parcheggio insieme a lei, e notai accanto alla macchina di mamma Ben e Nash.
«Loro, vedi?» le dissi indicandoli.
Tirai fuori una sigaretta e la accesi; feci il primo tiro ma poi Rose me la levò di mano, aspirando e buttando fuori una nuvola di fumo, poi me la restituì, ringraziandomi.
Mi avvicinai alla macchina dove i miei fratelli parlavano con tre ragazzi voltati di schiena.
Si erano già fatti degli amici. Impressionante.
Quando fui lì, con mio immenso dispiacere mi accorsi che uno dei tre era il coglione che mi aveva lanciato la palla in testa; l'altro era un ragazzo biondo e alto, con i capelli leggermente mossi, quello che aveva preso la palla quando l'avevo lanciata indietro. Il terzo invece non lo avevo mai visto prima.
Aveva la pelle scura e i capelli rasati. Aveva un'aria simpatica, ma non me ne importava più di tanto.
«Ciao» salutai seccata, Ben e Nash più che gli altri.
Risposero tutti tranne Gray, che se ne stava lì imbambolato a osservarmi.
«Lei è Tiffany, nostra sorella» mi presentò Nash ai suoi amici.
Sorrisi di malavoglia, facendo un cenno con la mano e loro sorrisero salutando a loro volta.
Il biondo fu il primo a presentarsi. Aveva gli occhi azzurri e un bel fisico, e un naso leggermente aquilino, ed era un bel ragazzo.
«Sono Christopher, chiamami pure Chris» si voltò verso Gray, che stava fumando mentre ci osservava, poi continuò: «E lui è Lucas...scusalo. É fatto così»
Ah, ovvero asociale, maleducato, donnaiolo, idiota, menefreghista, strafottente... Ma almeno sapevo il suo nome.
«Oh non ti preoccupare, abbiamo già avuto modo di conoscerci, purtroppo» dissi guardandolo male.
Chris e l'altro ragazzo ridacchairono, mentre Lucas alzò gli occhi al cielo.
«Io sono Taylor» disse il ragazzo con la pelle scura. Era alto e aveva le spalle larghe, come gli altri del resto, un bel fisico muscoloso e un sorriso luminoso «e scusa per la palla, prima.»
Accettai le scuse anche se potevano comunque fare più attenzione.
«E tu sei...» disse Ben rivolto a Rose.
«Rose» si presentò lei.
Dopo il giro di presentazioni gettai la sigaretta a terra, ormai finita. Già non seguivo più le chiacchiere dei ragazzi, così tirai fuori il cellulare, per mandare un messaggio a Beth, visto che non l'avevo più sentita.
*Hei, Beth! Sono appena uscita da scuola, stasera ti chiamo, un bacio*
Inviai il messaggio e misi il cellulare in tasca, alzando poi lo sguardo mentre i ragazzi si stavano salutando con pacche sulle spalle.
Rose mi salutò e ci scambiammo i numeri. Mentre aprivo la portiera della macchina lei si rivolse a Lucas: «Andiamo che la mamma ci starà aspettando»
Mi bloccai.
Cosa?!***
«Tiff, è un bravo ragazzo, anche simpatico, se solo non lo avessi insultato brutalmente come fai sempre con tutti...» disse Ben.
Quella sera a cena avevo chiesto a Nash e Ben come mai avessero legato con Lucas.
"Lucas è un ragazzo molto simpatico", "É stata colpa tua, lo hai insultato" dicevano.
La mamma a sentir quell'ultima frase mi fulminò con lo sguardo, al che le spiegai che mi era arrivata una pallonata in testa, e le mostrai il bernoccolo che era uscito quasi subito dopo la botta.
Poi passammo al discorso "nuove conoscenze", così raccontandole di Rose, la mamma si rallegrò un po'.
Io non la capivo...ma erano cavoli miei se facevo l'asociale, no?
Finita cena guardai la TV con Nash e Ben, ma più che altro facevano gli stupidi, rubandosi il telecomando.
La mamma andò a dormire presto, perchè il giorno dopo avrebbe iniziato il turno in ospedale il mattino presto.
Decisi di salire anche io in camera mia e mettermi a dormire. Infatti mi lavai e mi misi il pigiama. Mi buttai sul letto, infilandomi sotto le coperte calde. Beth non aveva risposto al mio messaggio, e temevo che non mi considerasse neanche più come un'amica. Forse mi stavo creando troppi problemi, magari inesistenti. Ma ormai ero diffidente da tutti, a volte anche da me stessa.
La mia mente stava cominciando a tornare indietro nel tempo, quando avevo conosciuto Beth. Era poco dopo che mio padre se n'era andato. Il giorno dopo non ero nadata a scuola, non volendo nemmeno uscire dalla mia camera. Mi veniva in mente quando ero piccola e andavamo tutti insieme in vacanza al mare, dai nonni. Quando andavamo in spiaggia papà si buttava subito in acqua seguito da Ben e Nash, e io e la mamma restavamo per un po' sulla spiaggia, la mamma a prendere il sole e io a giocare con la sabbia. Poi papà mi prendeva e mi buttava in acqua, e io mi arrabbiavo. Allora per farsi perdonare mi faceva fare i tuffi dalle sue spalle, e io mi dimenticavo subito del dispetto. Rimasi chiusa in casa per una settimana, e neanche mia madre riusciva a farmi uscire.
Poi mi convinsi che dovevo farla finita e uscire di lì, dovevo tornare a scuola, avrei dovuto vivere lo stesso, smetterla di pensare all'amore, smetterla di pensare a papà. E fu così che eressi le mie barriere, diventando poco sensibile. All'inizio fu piuttosto difficile perchè ero ancora fragile come un ramoscello secco, pensando che papà mi aveva abbandonato. Pensavo mi volesse bene. Almeno a me, Nash e Ben. Avrebbe potuto rimanere solo per noi. Ma non era rimasto.
Così mi rintanavo in bagno per piangere durante la pausa pranzo, senza mangiare, o negli intervalli. Mi chiudevo dietro quelle porte azzurrognole, tutte scarabocchiate e piangevo a dirotto. Un giorno, come al solito mi venne da piangere mentre stavo per entrare in mensa, così tornai in bagno e mi chiusi dentro una delle sei toilette. Singhiozzavo già, quando sentii il rumore dello sciacquone del gabinetto di fianco al mio. Pensavo di essere sola come sempre, visto che nessuno andava in bagno a quell'ora.
Vidi le scarpe viola di una ragazzina spuntare davanti la mia porta, poi sentii bussare. «Tutto bene lì dentro?» aveva chiesto.
Io non risposi, volevo solo rimanere da sola. «Beh, sai non sei l'unica triste...» la voce continuava a parlare «ho appena scoperto che mi sono arrivate le mie cose. Dovrei piangere?»
La voce era familiare, forse era una ragazzina della mia classe. Quel commento però mi fece sorridere.
«So che stai sorridendo» disse la ragazzina al di là della porta. Decisi di alzarmi, anche perchè il mio pianto era ormai cessato. Quando scostai leggermente la porta vidi una ragazzina di dodici anni, la mia stessa età, e notai che era Bethany Turner, la ragazza che stava sempre al secondo banco, con i capelli biondi raccolti in una lunga coda. Mi stava porgendo un fazzoletto e sorrideva.
Aveva le guanciotte paffute e dei bellisimi occhi azzurri. Presi il fazzoletto timidamente e sussurrai un "grazie".
Da quel giorno io e Beth diventammo inseparabili, facevamo tutto insieme. Non mi rintanai più in bagno a piangere, tranne qualche piccolo crollo a casa. Ma era normale, del resto.
Col passare del tempo diventai la stronza acida e insensibile che ero ora.
Adoravo Beth per quello che faceva per rallegrarmi, mi capiva al volo e mi conosceva meglio di chiunque altro. Sapeva tutto di me, e non avrei voluto perderla.
Non feci in tempo a chiamarla che mi addormentai.
STAI LEGGENDO
Fall (sospesa)
RomanceDopo quella sera, quella fottuta sera in cui mio padre ci abbandonò, tutte le mie certezze sparirono, sostituite da un vuoto. Una voragine. Tutti quegli anni passati a ereggere barriere invisibili intorno a me, tutti quegli anni passati a fidarmi d...