11

273 7 1
                                    

La musica, l'odore di alcool, la puzza del fumo, le urla, invasero tutto d'un tratto i miei sensi.
Da tanto non provavo quella sensazione e mi piaceva da matti.
Appena entrate in casa, dopo aver attraversato il giardino pieno di ragazzi e ragazze ubriachi o fatti, io e Rose ci dirigemmo verso la cucina, dove si trovava il tavolo con gli alcolici.
Mi servii riempiendomi il bicchiere di vodka alla menta, e buttai giù tutto d'un fiato. Ne riempii un altro e buttai giù anche quello, sentendo la gola bruciare e la testa girare leggermente. La scossi come per mandare via quella sensazione.
Volevo lasciarmi andare come non facevo da tempo, e con un po' di alcool in corpo sarebbe stato più facile. Ma non dovevo avvicinarmi a Lucas.
Avrei potuto fare cose di cui mi sarei potuta pentire.
Io e Rose, con i nostri bicchieri pieni tornammo dai ragazzi, che erano poco più lontano da quello che doveva essere un salotto, dove la gente ballava o si sbavava la faccia baciandosi.
Nash, Chris e Tay erano seduti su un divano in pelle nera non molto grande, così ci avvicinammo e ci accomodammo vicino a loro nel poco spazio rimasto. Infatti ero spiaccicata cole una sardina tra Chris e Nash.
Finii il mio bicchiere di vodka e lo posai ai miei piedi, cominciando a senitre l'effetto dell'alcool.
«Dove sono gli altri?» chiesi quasi urlando per sovrastare la musica ad alto volume e guardandomi attorno. Ben di sicuro era a bere e rimorchiare qualcuna.
Anche se lui era convinto che i maschi avessero il potere quando rimorchiavano non era così.
Le donne sanno sempre chi attirare. Ti puntano fin dall'inizio, e vincono sempre.
Chris fece spallucce, poi mi indicò un punto lontano bevendo dal suo bicchiere.
Seguii il suo dito e vidi Lucas. Ma non era solo. Era con la Barbie bionda, Abby. Quella che aveva organizzato la festa.
Dentro di me nacque qualcosa.
Una specie di vuoto, proprio all'altezza della bocca dello stomaco, che si propagò anche più su, all'altezza del cuore. No, ma che dico. Devo avere bevuto troppo.
Sorrisi amaramente, quando Abby appese le sue braccia attorno al collo di Lucas, e lui cominciò a palparla.
Presto, troppo presto diventò un bacio. Un bacio troppo appassionato.
Distolsi lo sguardo, rendendomi conto che gli altri stavano già parlando di altro. Taylor parlava della macchina che voleva comprare e Rose era stata invitata a ballare da un ragazzo alto e riccio, carino. Mi sorrise maliziosamente e si allontanò per mischiarsi alla folla sudata, tenendo per mano quel ragazzo.
Visto che non avevo intenzione di stare ad ascoltare i discorsi sulla macchina di Taylor, per quanto fossi appassionata di macchine e motori, passione che mi trasmise mio padre, mi alzai dal divano forse con troppa enfasi e uscii per fumare una sigaretta.
Perché mi sentivo così?
Incazzata, forse? Frustrata?
Mi sentivo un po' una merda, poco ma sicuro anche se non sapevo il perchè.
Mi sedetti su un muretto lì fuori che divideva il giardino della casa di Abby dal marciapiede e dalla strada.
Lucas era solo uno stupido ragazzo che si divertiva con tutte. La sua fama a scuola lo confermava. Ma avevo anche imparato che le voci erano false, tante volte.
Una volta mi capitava di sentire pettegolezzi su di me, nella mia vecchia scuola, ma non ci davo peso perchè erano solo cazzate. Una volta camminando per i corridoi avevo sentito dire da una ragazza che ero la più grande sgualdrina della scuola.
Era stato a dir poco fantastico prenderla per la coda di cavallo e sbatterla contro l'armadietto. Si era subito spaventata e scuoteva la testa freneticamente, dicendo che stava solo scherzando.
La stessa cosa accadeva con Lucas.
Si sentiva dire di tutto su di lui, anche cose private, come ad esempio la grandezza del suo amichetto lì in basso, cosa a dir poco disgustosa, e non ci tenevo a sapere se fossero vere o meno.
E poi Lucas non mi stava per niente simpatico. Era irritante e stronzo. Come me del resto.
Certo, era un gran figo, ma non significava nulla. Di fighi ce n'erano in abbondanza.
Tiro dopo tiro finii la mia sigaretta e la lanciai sul marciapiede.
Non stavo bene, mi sentivo ancora lucida, e non lo volevo.
Mi voltai verso l'entrata della casa, dove erano appostati i fattoni, intenti rollarsi le canne. Mi avvicinai chiedendone una senza troppa esitazione.
«Te la faccio pagare dieci dollari solo perché sei una bella ragazza» disse uno di loro ridacchiando come un coglione e facendomi l'occhiolino. Mi ricordava molto un giovane barbone...capelli a scopetta, infeltriti e crespi, occhi persi, barbetta corta sul mento.
Accettai comunque, tirando fuori i dieci dollari dalla borsetta, e quello me la tese, porgendomi anche un accendino. Pur avendo il mio lo afferrai e dopo aver acceso la canna glielo ripassai.
Il sapore particolare e amarognolo si fece strada nella mia gola, e il suo odore arrivò fino alle mie narici.
In quel gruppo dicevano tutti cose senza senso, ed erano talmente fatti che non si sarebbero ricordati nemmeno il loro nome. Così rimasi lì, tanto valeva essere fusi tutti insieme.
Feci un altro tiro e ancora una volta il sapore acre ma allo stesso tempo leggermente dolce e amaro si propagò nella mia bocca.
Buttai fuori il fumo denso, osservando come si propagava nell'aria, dissolvendosi mano a mano che saliva verso l'alto. Tirai ancora e ancora, e ogni tiro era sempre meglio, perché non riuscivo più a pensare.
Era come se una specie di velo di pazzia mi annebbiasse la mente, facendomi sorridere senza un motivo. Ridevo. Per cosa? Chi lo sa...
Una volta era tutto più semplice. Quando c'era ancora papá, che ci amava. Eravamo la sua famiglia.
I ricordi di quando mi prendeva in braccio, per poi appoggiarmi sulle sue spalle, correndo, mi assalirono. Smisi di ridere, ma poi ricominciai.
Tanto ormai non c'era più. Era uno stronzo, e ciò mi faceva ridere.
Feci ancora un tiro, poi lanciai la canna lontano.
Mi massaggiai la testa, immaginando i miei occhi arrossati. Probabilmente i miei capelli erano incasinati, il vestito un po' stropicciato, il rossetto un po' sbavato, ma pazienza. Intanto ridevo.
Mi alzai barcollando e un giramento di testa mi colse improvvisamente e mi sentii cadere, il suolo si disfava sotto i miei piedi e le gambe mi tremavano.
Sentii una voce chiamarmi.
Mi voltai verso la porta per entrare, e mi sentii afferrare per un braccio. Quando alzai lo sguardo incontrai quei bellissimi occhi azzurri. Come il mare, come il cielo...o forse tutti e due? Beh, in qualsiasi caso ci si perdeva dentro. «Scricciolo? Che ci fai qui?» chiese Lucas sempre stringendomi il braccio. non avrei dovuto vederlo per tutta la sera, e ora si presentava qui, davanti a me, affibiandomi quel nomignolo orrendo.
Evitai il suo sguardo, mentre lui cercava i miei occhi, così tentai di sfuggire a quello sguardo glaciale e voltai la testa dall'altra parte.
Allora prese il mio mento e voltò di nuovo il mio viso verso il suo.
Quando vide i miei occhi cambiò espressione. Erano di sicuro rossi.
La sua espressione variò da curiosa, a interdetta, poi incredula e poi preoccupata e incazzata.
Tutto ciò mi fece sorridere perché era bello sempre e comunque, in ogni fottuta situazione.
«Ma si può sapere che cazzo fai?» quasi urlò e io sobbalzai. Okay, avevo dei riflessi di merda in quel momento. Trovai le forze per rispondere, cercando di sfilare il braccio dalla sua presa, ma invano. Sembravo fatta di gelatina.
«Cosa ti importa?» biascicai, sforzandomi di pronunciare il tutto in modo comprensibile.
Lui si accigliò allontanandomi dal gruppo di fattoni a cui mi ero avvicinata.
«Beh mi importa!»
Sobbalzai di nuovo.
Solo in quel momento vidi una biondina poco distante da lui, con le braccia incrociate sotto i seni prosperosi. Troppo finti però.
Lo guardava come per dire "datti una mossa" oppure "perché perdiamo tempo?".
Improvvisamente mi sentii incazzata. Con uno strattone deciso sfilai il braccio dalla presa di Lucas e scossi la testa, ancora frastornata. Lucas mi prese di nuovo prima che muovessi un solo passo, ma stavolta per la spalla, poi si voltò verso la bionda.
«Abby, sarà per un'altra volta. Ora mi devo occupare di una cosa»
Lei gracchiò sorpresa: «Cosa?! Non dirai sul serio, spero!»
«Oh e io sarei la cosa» dissi piano, ma entrambi mi sentirono.
Abby mi lanciò un'occhiataccia.
«Beh se preferisci scoparti questa qui, allora va bene. Ma non contare più su di me»
Mi indicai.
«Si da il caso che "questa qui" abbia un nome» dissi sfidandola.
La rabbia stava crescendo e quella era la goccia che stava facendo traboccare il vaso.
Lucas interruppe il nostro scambio di sguardi, che se potessero uccidere...
«Ragazze perché non...»
«Mettiamo in chiaro Lucas è mio, carina» gracchiò la gatta morta, con fare superiore.
Se pensava di aver conquistato Lucas con quel foglio di carta che aveva come vestito si stava sbagliando di grosso.
«Beh, mettendo in chiaro che non me ne frega un cazzo» cominciai a ribattere «non credo che Lucas si vorrà mai impegnare con una sottospecie di ragazza a cui probabilmente mancano i soldi per comprarsi un vestito più spesso e più lungo»
Vidi la faccia di Abby diventare rossa come un peperone, ma prima che potesse ribattere Lucas si intromise.
«Okay, ora basta. Tiffany smettila.» disse rivolgendosi a me.
Poi si voltò verso di lei: «Abby, torna dentro. Ci sentiamo.»
Abby mi incenerì con lo sguardo e se ne andò, sculettando sui suoi tacchi rosso fuoco.
«Troia» le urlai dietro.
Lei si girò con una smorfia orrenda dipinta in volto, e io risi, ancora sotto l'effetto dell'erba.
Lucas mi tirò leggermente verso la macchina, per poi aprirmi la portiera e quasi forzandomi a salire.
Sbuffai e cedetti. Sentivo che l'effetto della canna stava per finire e piano piano stavo tornando alla realtà, se non fosse stato per l'alcool, che ora si faceva sentire.
Il tragitto fu silenzioso, infatti Lucas si limitava a guardare la strada, e a volte guardare me per qualche secondo, e io guardavo le luci fuori dal finestrino sfrecciarci davanti.
Ad un certo punto lui prese il telefono e chiamò un numero.
«Ehi, Nash» disse Lucas, alzando leggermente la voce per farsi sentire dall'altra parte.
Aspettò qualche istante poi continuò: «No, Tiffany è qui con me. Stava male e l'ho portata via»
Annuì un paio di volte, mentre dall'altra parte la voce di noi fratello diceva qualcosa.
«Va bene, la porterò alla casa sul lago» disse annuendo ancora. Salutò e riattaccò velocemente.
«Nash ha detto di non portarti a casa per via di tua madre. Ha detto che a quest'ora è di sicuro a casa. Ho pensato di portarti a casa mia ma, oltre al fatto che abitate vicino a noi, ci sono i miei. E si farebbero strane idee, sai...» disse dopo qualche secondo.
"Tanto lo hai già fatto, no?" gli volevo rispondere "hai già portato a casa delle ragazze". Ma sarebbe stato un colpo basso e non lo feci.
Continuò a parlare, con gli occhi fissi sulla strada.
«I miei hanno una casa sul lago a mezz'ora dai qui, perciò ti porterò lì...» Annuii, anche se non me ne fregava molto.
La mia testa pulsava per via dell'alcool. Forse anche per la canna, ma dettagli. Proprio quando stavo per appisolarmi Lucas svoltò bruscamente per una stradina sterrata, che attraversava un bosco. Ero sballottata di qua e di là, con il mal di testa.
Avevo fame e sete e freddo. Peggio dei barboni. Ottimo!
Fermò la macchina davanti una casa di legno a due piani. Era una casetta carina, tranquilla e poco lontano c'era un lago, che rifletteva l'immagine della luna e degli arbusti che ci crescevano intorno. Seguii Lucas all'interno della casa e dopo aver aperto la porta, accese la luce. Mi strinsi nella mia giacca che però non teneva molto caldo. Mi guardai attorno notando due divani, una poltrona e un caminetto da una parte, e una cucina dall'altra.
Una scala, sempre in legno, portava al piano di sopra, così seguendo Lucas, salii.
Dopo aver percorso un corridoio lui entrò in una stanza. Lo seguii e poi chiuse la porta alle sue spalle e accese la luce.
Era una camera non molto grande, con poster appesi alle pareti di legno e un letto con lenzuola e coperte blu. Contro al muro c'erano un mobile e un armadio.
Una finestra dava sul lago buio.
«Vengo spesso qui...è il posto dove ho passato la maggior parte del mio tempo da bambino» disse avvicinandosi alla finestra e sbirciando fuori. Io mi avvicinai al letto e mi sedetti sfilandomi le scarpe e stringendomi nella giaccia.
Lucas lo notò e si precipitò verso la cassettiera, tirando fuori un maglione grigio scuro molto grande e un paio di calzettoni di lana.
«Ecco tieni» mi disse porgendomeli. «Non ho molta roba qui, ma penso che dovrebbero bastarti»
Annuii, abbassando lo sguardo su ciò che mi aveva appena dato.
«Grazie»
La mia voce uscì roca e bassa. Cazzo, stavo per piangere.
Alzai il viso per cercare di non far cadere le lacrime, ma una scese comunque, rigandomi la guancia. «Ehi» sussurrò Lucas avvicinandosi velocemente al letto.
Sembrava così premuroso in questo momento, che quasi faticavo a riconoscerlo.
Si sedette davanti a me e con il pollice mi asciugò una lacrima. Feci per scostarmi ma poi ci ripensai.
Questa parte dolce di Lucas non l'avevo mai vista e volevo scoprire com'era realmente, perché sapevo che dietro alla sua maschera da duro c'era un'altra persona. Una persona totalmente diversa da quella che mostrava agli altri.
Lo sapevo perché anche io ero esattamente così, giocavo a nascondino, come lui.
«Perché piangi?» chiese accarezzandomi la guancia.
"Perché mi stai facendo abbassare tutte le barriere erette dopo anni di pratica" volevo dirgli.
Il suo sguardo era dolce, ma anche preoccupato.
«Non so neanche perché lo faccio...non conto più le volte che succede, perché sono talmente tante» la mia voce si spezzò, e un'altra lacrima scese. «Non...non ci fare caso»
Tirai su col naso, aspettandomi di essere presa in giro da lui, aspettando che scoppiasse a ridere.
Ma non successe.
Mi abbracciò. E io rimasi lì, immobile, tra le sue braccia forti e muscolose. Rimasi lì al sicuro, dove, mi accorsi, sarei potuta rimanere per l'eternità.

LUCAS
Dopo aver baciato e palpato per bene Abby, lei mi aveva chiesto di trovare un posto appartato dove potevamo scopare in santa pace. Avevo accettato, perché dovevo togliermi dalla testa Tiffany.
In quel momento era seduta sul divano assieme agli altri, a bere e ondeggiare leggermente a ritmo di musica. Ma il suo sguardo era spento, non sapevo il perchè.
Dopo qualche minuto ero uscito, con Abby dietro di me. Volevo portarla alla casa sul lago, l'unico posto in cui potevamo stare tranquilli.
Ma quando avevo visto Tiffany, lì a fumare, per poi gettare la canna a terra ero rimasto scioccato.
Poi i suoi bellissimi erano occhi così arrossati in quel momento... Non era lei.
Rideva come se nulla fosse.
Aveva anche risposto ad Abby, dandole anche della troia e sinceramente, in quel momento, ci avevo goduto parecchio.
Non aveva mai paura di dire ciò che pensava, che fosse fatta o meno.
Dopo aver parlato con Nash avevo deciso di portarla alla casa sul lago.
Era dei miei nonni prima che morissero, e quando ripensai che stavo per portarci Abby rimasi disgustato da me stesso.
Ma ero felice di portarci Tiffany.
Quello era il mio rifugio, il mio nascondiglio dal mondo, ed ero stranamente felice di condividerlo con lei, anche se era una completa sconosciuta.
Una volta arrivati la guidai su per le scale e notai che l'effetto della canna era svanito, come quello dell'alcool, sostituito dal silenzio.
«Vengo spesso qui...è il posto dove ho passato la maggior parte del mio tempo da bambino» dissi.
Perché lo stavo dicendo a lei?
Lei, la ragazza più acida, fredda, tosta, e bipolare del mondo.
Forse perché sembrava fragile, tutto d'un tratto in quel vestitino.
Si stringeva nel giubbotto, infreddolita, facendo crollare quell'immagine di lei che aveva dato dal primo momento in cui l'avevamo conosciuta.
Mi affrettai a darle dei vestiti pesanti ma una lacrima solcò quel viso perfetto, e quei favolosi occhi si velarono si tristezza. Dolore.
Cosa stava succedendo a me, al mio menefreghismo?
Mi avvicinai a lei: «Ehi» sussurrai, passando istintivamente il mio dito sulla sua guancia, per cancellare quella lacrima.
Non sapevo nemmeno io cosa mi spingeva a farlo, semplicemente l'istinto prese il sopravvento.
«Perché piangi?» chiesi preoccupato.
Sapevo che non si aspettava di vedermi così. Così fragile e preoccupato per lei.
E sapevo che neanche lei voleva farsi vedere così.
«Non so neanche perché lo faccio...non conto più le volte che succede, perché sono talmente tante» e un'altra lacrima scese a rigare il suo volto così particolarmente bello.
«Non ci fare caso» stava balbettando.
Da quando era insicura?
Tirò su col naso. La abbracciai. Mi venne naturale, anche se era strano.
Appena la circondai con le mie braccia si irrigidì, ma poi si lasciò andare, piano piano.
Singhiozzava sempre più forte, sfogandosi tra le mie braccia in un modo quasi disperato.
Avrei potuto tenerla stretta a me per sempre.
E non avrei voluto solo abbracciarla.

Fall (sospesa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora