Pagina 31 (dal diario di Frank)

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Caro Larry,
Dopo la scuola, mentre ero sul mio letto, immerso nei pensieri e con gli occhi rivolti al mio soffitto bianco, con la mia fidata chitarra, mi è squillato il telefono.
Ho guardato lo schermo, non conoscevo quel numero.
Ho risposto incuriosito e forse anche un po' spaventato.
"Pronto?è Frank? Dimmi che sei tu e non ho sbagliato numero, sono Donna, Donna Way, la madre di Gerard."
Mi sono pietrificato.
E mi sono ovviamente chiesto perché la madre di Gerard mi stesse chiamando.
"Si, sono io, cosa succede?"
"Vorrei venissi a casa, Gerard è chiuso in camera sua da giorni, a volte, nella notte, sentiamo gridare il tuo nome, e piangere.Siamo molto preoccupati per lui, non vuole uscire, abbiamo paura possa fare qualcosa.Non so se conosci la sua situazione, ha bisogno d'aiuto."
Panico.
Totale.
"Si, arrivo subito.Corro."
Ho staccato, e ho effettivamente corso.
Avrei vinto anche contro Bolt.
Ho corso giù per le scale, nel salone, nel vialetto di casa.
Mentre correvo ho pensato a mille cose.
A Gerard, a cosa avrebbe potuto fare, a cosa stava facendo mentre io correvo, se voleva uccidersi, se stava piangendo.
Riuscivo a sentirmi ancora più una merda di quanto già non mi sentissi.
E lo immaginavo già, di notte, le sue grida fottutamente disperate.
Rabbrividivo.
Sto arrivando amore mio, ti salverò.
Ho bussato alla porta, con il fiatone, avrei voluto levarmi anche la felpa.
La madre mi ha guardato e mi ha accolto in casa preoccupata, mi ha offerto un bicchiere d'acqua, ma io volevo solo Gerard.
"Salgo sopra da lui."
Ho salito le scale, e mi sono levato la felpa, stavo davvero morendo, e inoltre la casa era di un calore leggero, perfetto.
Avevo timore a bussare, non so effettivamente cosa c'era la dentro.
"Gerard, sono qui, sono io, Frank."
Per qualche secondo, non ho sentito rumore.
Poi ho udito come un fievole lamento, disperato anch'esso.
"Gerard aprimi, sono proprio io."
"Sei tu."
"Sono io."
Ho sentito dei passi lenti, ho sentito roba cadere per terra.
Dimmi che non ti sei ubriacato.
Dimmi che sei sobrio, Gerard.
Non sono mai riuscito a parlare con persone ubriache, dopo l'esperienza di mio padre.
Era un alcolista di prima categoria.
Tutto il suo stipendio buttato in liquori e vini scadenti del supermercato sotto casa.
Lo rendevano un uomo scontroso, e irascibile, e le sue folte sopracciglia si inarcavano per qualsiasi cosa, qualsiasi rumore.
Li beveva soprattutto di sera, riuscivo a sentire i bicchieri e piatti spaccarsi, in seguito a litigi con mia madre, in cui lei subiva soltanto.
Si arrabbiava per cose che probabilmente succedevano solo nella sua testa.
"Sta calmo, ti prego."
Le sentivo soltanto dire, con quella voce, quella cazzo di voce, invasa dalle lacrime.
Un giorno scesi, perché io di quel posto e di quella situazione non ce la facevo più, volevo ucciderlo, si, ho pensato di uccidere mio padre, e di scappare con mia madre appena avessimo avuto abbastanza soldi, ma mi picchiò, appena apri bocca, con la sua cintura.
Le grida di mia madre e le mie non servivano a niente, continuò fino a lacerarmi la schiena e ovviamente il culo.
Ma non fu la prima volta e le mie cicatrici ne sono le prove.
Da allora l'alcol mi spaventa soltanto.
Mi ha aperto la porta, quello non era Gerard, non erano i suoi occhi, i suoi capelli.
I suoi occhi erano contornati di rosso e violaceo, come se non avesse dormito per giorni, li aveva socchiusi come se quella fioca luce gli desse fastidio.
Il suo corpo era diventato un corpo esile, più di quanto non fosse già, scheletrico.
E i suoi capelli erano spettinati, e gli coprivano le guance, e il viso, non riuscivo a vedere bene la sua espressione.
Aveva addosso una maglietta nera macchiata di rosso e bagnata.
Forse era sangue, erano lacrime.
I suoi occhi mi gridavano aiuto, ma io non sapevo se fosse ubriaco, e non ero altro che spaventato.
"Frank."
Ha allungato la mano verso di me, come se fossi un miraggio.
Forse era davvero convinto che io non fossi li davvero.
Me l'ha messa sul petto, e io ho messo la mia sulla sua.
Era ancora morbida e di quel bianco latte innaturale.
Era fredda.
Gli ho accarezzato le dita, e lui per qualche secondo penso si sia totalmente perso.
Avevo sentito il suo alito, vino.
Probabilmente lo aveva preso da quel mobile in cucina che avevo notato, mentre i suoi erano a lavoro.
Ma la voglia di aiutarlo era più grande di qualsiasi paura.
"Non ti farà del male, lui è Gerard."
Ho pensato.
"Posso entrare?"
Ho cercato di chiederglielo più dolcemente e cautamente possibile.
Ha annuito e ha indietreggiato.
Le finestre erano totalmente chiuse e l'unica cosa accesa era un lume, sulla scrivania, il letto sembrava sfatto da giorni, le lenzuola a terra.
Dei fogli erano sparsi sulla scrivania, un cuscino era stato probabilmente scaraventato su un grosso comò, e aveva fatto cadere una fotografia incorniciata.
I pezzi erano volati ovunque, e qualcuno l'ho visto.
Continuava a fissarmi.
Poi si è seduto sul letto.
"Hai visto quanto può essere nero ? Lo riesci a vedere questo buio? È il buio dentro di me."
Mi sono seduto accanto a lui, e ho intrecciato le dita con le sue.
"Sai che il buio si può colorare?"
Gli ho detto.
"Non il mio."
Mi ha risposto.
Gli ho spostato dolcemente i capelli davanti al viso, anche se riuscivo a vederlo poco.
La luce lo illuminava debole solo per metà volto, e illuminava le nostre mani, strette, salde.
Ha fatto un leggero lamento mentre gli levavo i capelli dal viso, quasi come se stesse soffrendo.
"Mi sono mancate così tanto le tue mani che adesso mi fanno male."
Ha sussurrato, un po ridendo, forse per l'alcol.
"Ti ci abituerai, il dolore svanirà."
"Non svanirà mai, rimarrà anche solo un briciolo.
Per vivere c'è bisogno anche di quella minima parte, me lo ha detto il mio psichiatra."
"Probabilmente ha ragione.
Lo ridurrò al minimo il tuo dolore allora."
"Ci vorrà tempo, non hai fatto altro che ingigantirlo."
Ha riso amaramente.
"Sono qui adesso, non ti lascerò, e tu lo sai."
"Sai per un attimo mi ero illuso.Avevi scritto in fronte "torno subito." E non sei più tornato."
"Ma sono qui, sono tornato, davvero."
"Te ne andrai, e sarai in fila, non sei il primo Frank, e nemmeno l'ultimo.
Solo, sarai quello della fila che ho amato, e farà più male."
Gli ho preso la testa fra le mani, guardandolo negli occhi, o almeno credo, non si vedeva molto.
"Sono qui. Sono qui adesso.
Non me ne andrò, non potrei mai, l'ho lasciata, nulla mi trattiene lontano da te."
Mi ha fissato, mi ha guardato dentro.
Mi ha dolcemente abbassato le mani, e ha poggiato la testa sulla mia spalla.
Come un bambino che cerca di dormire.
L'ho sentito ancora lamentarsi e ho preso ad accarezzargli la schiena.
"Sono qui." Gli ho sussurrato all'orecchio.
"E rimanici."
Mi ha detto.
Ho preso a baciargli la fronte e i capelli.
E ho avvertito il suo corpo farsi dolcemente più pesante, ho sentito il suo respiro più calmo, dormiva.
L'ho avvicinato molto a me, e ha iniziato a stringermi la felpa con le dita, senza mai mollare la presa.
Continuavo ad accarezzarlo, e avrei continuato per ore.
Sentivo le sue dolci guance accaldarsi, e la sua bocca morbida sotto il mio indice.
Ho percorso tutto il contorno del suo viso, passato sotto i suoi occhi, e contornato le sue labbra fino a scendere al collo, era ritornato il mio Gerard.
Riuscivo a immaginare i suoi grandi occhi verdi e il suo bellissimo naso.
Riuscivo a vedere le sue rosee e morbide labbra, ancora sulle mie.
E lui intanto dormiva beato, come se avesse trovato finalmente la tranquillità.
Non ero mai stato più vivo e felice di esserlo.
L'ho fatto stendere, mentre lui continuava a stringermi, mi sono tolto la felpa cercando di non fare rumore e gesti bruschi.
L'ho coperto e lui l'ha messa quasi vicino al naso.
"È odore di casa."
Ho sentito sussurrargli.
Mi sono steso accanto a lui a guardarlo ancora.
"Sono a casa fra le tue braccia." Mi ha detto ancora, ad occhi chiusi.
E allora ho poggiato la fronte contro la sua e l'ho accarezzato fino al fianco, dolcemente.
Non mi importava più di nulla, di quello che era stato.
C'eravamo solo noi.
La stanza era sparita, perfino le pareti non c'erano più.
Fissavo i suoi occhi chiusi e i suoi capelli che ogni tanto cadevano.
Eravamo solo noi, fra le braccia del altro, tranquilli in quel attimo, felici, nel nostro semplice angolo di buio e Paradiso.

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