Caro Larry,
Sono passati tre giorni, tre giorni di silenzio.
Tre giorni in cui non sono andato a scuola, non ho visto nessuno.
Tre giorni in cui non ho visto Gerard.
Un' idea si era radicata dentro di me.
E se fosse morto?
E se fosse morto e i suoi genitori non me lo avessero detto?
Continuavo a pensarci, stavo diventando paranoico.
Gerard non sarebbe morto, sarebbe rimasto con me.
Io lo amavo, lui mi amava, doveva essere così, dovevamo rimanere insieme.
Questa distanza forzata stava lacerando entrambi già da troppo.
Sai cosa ho deciso di fare?
Alle 02:45 della notte, o della mattina se preferisci, mi sono presentato fuori la porta di casa Way.
Se non dovevo dormire per vederlo, non lo avrei fatto.
Ero sicuro che non mi avesse seguito nessuno, ed ero sicuro che Donna avrebbe capito.
Ho bussato due volte, due semplici volte a quel piccolo campanello.
Ho sentito i passi di qualcuno scendere le scale, e ho visto il viso della signora Way stanco, con le occhiaie.
"Frank cosa ci fai qui?"
"Devo parlare con Gerard, è l'unico modo."
Ed è stato come se mi avesse capito subito, capiva che era una questione importante.
Che se suo figlio stava bene con me era perché era nato un amore troppo forte, e il desiderio di restare insieme era più forte di quello di morire, che ci aveva accomunati dall'inizio.
Mi aveva guardato con quello sguardo, quello sguardo da "prenditi cura di lui." Fin dall'inizio.
E anche adesso lo faceva, si è spostata, e io sono corso su per le scale.
Ho bussato dolcemente alla porta, e ho sentito aprire.
Non ero mai stato così felice.
Gerard era vivo.
Ho visto i suoi occhi verdi brillare.
"Sei qui, non sei un sogno."
Era come la prima volta.
E per la prima volta mosse passi verso di me, sporgendosi, e uscendo dalla sua prigione.
Mi si è buttato al collo, e ha strofinato il naso contro la mia spalla, riempiendosi la gabbia toracica del mio odore.
E non mi importava se mi faceva male, avevo una costola rotta ma ma stava aggiustando il cuore.
Siamo entrati nella stanza e ci siamo seduti sul letto.
Lo vedevo sorridere, dopo tanto.
È così bello vederlo vivere.
"Cosa ci fai qui a quest'ora?"
"Mi andava di vederti."
"Dove sei stato? Non stavi bene? Me lo ha detto mia madre."
"Si ma adesso sono guarito, e verrò spesso a farti queste visite notturne."
"Perché non più di pomeriggio?"
"Perché ho tante cose da fare.."
Ma l'ho detto troppo poco convincente, tanto che Gerard ha letto la bugia nei miei occhi.
"I giocatori di football ti stanno ancora addosso?"
Avrei voluto sputare tutto fuori.
Amore mio, quei giocatori hanno fatto di peggio al tuo Frank, ma quel tuo viso così maledettamente meraviglioso non poteva essere turbato, non volontariamente.
"No no, mi hanno lasciato perdere."
Ho sorriso e ho cercato di guardarlo negli occhi.
Ma quegli occhi hanno saputo leggermi dentro ancora, ed era questa una delle capacità di Gerard.
Lui leggeva nelle persone, capiva cosa stessero provando.
Ed era così empatico, da quando aveva riscoperto le sue emozioni.
Soffriva tanto.
"Cosa ti hanno fatto?" Mi ha preso la mano e l'ha stretta forte.
"Nulla, è passato.Sfottono gli altri, io non esisto più per loro."
La sua mano tremava nella mia, tremava violentemente.
Cosa ti stava accadendo amore mio?
"Frank, dimmelo.Dimmi cosa ti hanno fatto."
La sua mano continuava a tremare.
"Un pugno, Gerard.Solo uno."
"E dopo quello?"
"Un altro."
"E dopo quello?"
"Un calcio."
La sua mano schizzava ovunque.
"La prima volta, quando ti vidi.Ma adesso?"
"Un pugno,Gerard."
"Più di un pugno."
"Era solo un pugno."
"Ti hanno portato in bagno?"
"Mi hanno portato in bagno, ma era solo un pugno."
Ho stretto la sua mano più forte, non si calmava, il suo respiro diventava profondo e pesante.
"Ed erano in tanti a darti questo pugno?"
"No, era solo lui, gli altri guardavano."
"Non ti hanno picchiato."
"Mi hanno picchiato."
"Ti hanno spogliato Frank?"
"Mi hanno spogliato, ma era un pugno."
"Frank.."
Mi ha guardato ed è scoppiato a piangere, si è chiuso su se stesso, dondolandosi, ripetendo che era tutta colpa sua, con quella mano stretta che sembrava soffrire anche lei, che sembrava piangere, morire.
"È tutta colpa mia, solo mia, hanno abusato di qualcosa di meraviglioso e non erano degni."
Continuava a dire, dondolandosi e piangendo, senza guardarmi, stava impazzendo, parlava con se stesso.
"No, no, no."
Poi ha urlato, mentre le lacrime gli scendevano sul viso, era un urlo nero, matto e disperato.
Un urlo capace di far raggelare ogni anima in cielo e in terra.
Urlava di noi, urlava per noi.
Urlava di rabbia.
Mi ha guardato.
Scendevano le lacrime anche a me.
"Era solo un pugno."
Ho ripetuto.
Cercando di convincere me più che lui.
Io volevo dimenticare, lasciarmi tutto alle spalle.
Volevo vivere in una menzogna, a patto che con me ci fosse stato Gerard.
È rimasto lì, chiuso.
Chiuso su se stesso, in quella stanza, in quella casa.
Quella mano non voleva lasciarla, e nemmeno io.
"Devo andare." Gli ho detto singhiozzando.
"No, no, no." Era l'unica cosa che riusciva a dire.
"Devo andare."
Gli ho dato un bacio sulla tempia piangendo, e sono corso via, senza nemmeno guardarmi intorno.
Sono tornato a casa e fortunatamente i miei dormivano ancora.
Ero andato li per farlo rivivere e ci stavo riuscendo, ma Gerard mi legge come un libro aperto, anche se con le pagine stracciate e consumate.
Quegli occhi leggono ogni riga.
Era solo un pugno.
Vero?
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Gerard's diary
Romance"Amavo quel ragazzo come si amano i tramonti, in silenzio e da lontano"