20 - 9 - 1999

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Da quando sono rientrato dall'Etna non riesco ancora a riprendermi, mi sento come fossi in una bolla. Non mi va di far nulla e ho la testa vuota di pensieri e preoccupazioni. Sto bene e basta. Adesso, sdraiato sul letto della mia camera mi godo un alito di vento fresco che arriva dalla finestra aperta. Mi basta questo e non ho voglia di fare nulla. È stato un fine settimana fantastico. Eravamo in quattro, c'erano anche Giuseppe e Andrea, altri due amici e nessun altro poi. La casa non è molto isolata, ci sono delle abitazioni vicine ma erano deserte. Un silenzio esagerato che non si percepisce qui in città. Non ci avevo mai fatto caso. Forse per la prima volta in vita mia comincio ad apprezzare certe cose. Anche le stelle in cielo la notte non lasciavano spazi vuoti, come in alcune scene che si vedono in TV, nei film o in qualche documentario. Ma vederlo dal vivo è un altro mondo. Per il resto, l'assenza del televisore, telefono o computer non ci è pesata per nulla. È stato fantastico. Ci siamo inventati di tutto, abbiamo trasformato il vecchio slittino di Lorenzo in una slitta a quattro posti per poi lanciarci in tutti i pendii che trovavamo. Alla fine lo abbiamo distrutto saltando giù da un terrazzamento. Non l'avevamo visto, era tutto coperto di neve. Abbiamo riso per ore, non riuscivamo più ad alzarci da terra. Il buon umore che ci ha messo la montagna non saprei descriverlo. Era la prima volta che i genitori di Lorenzo ci lasciavano la casa libera e che i miei mi mandassero a fare un fine settimana in una casa senza telefono o adulti. Ne valeva veramente la pena. Sabato sera abbiamo arrostito la salsiccia nel camino e a parte qualche pezzo carbonizzato era ottima. L'abbiamo accompagnata con un vino trovato nel magazzino degli attrezzi tra le conserve di salsa della mamma di Lorenzo. Era nero come la pece ed emanava un odore esagerato di vino "in pietra". In quel contesto ci è sembrato più buono di qualsiasi altra cosa. Quando si sta bene, tutto sembra perfetto. E io, con i miei amici sto sempre bene.
Domenica abbiamo fatto una lunga passeggiata alla ricerca della sorgente d'acqua potabile che si ricordava Lorenzo, volevamo riempire un bidone, in casa era rimasta l'ultima bottiglia. Giuseppe, che è un ragazzone di quasi due metri di muscoli, durante la notte ha bevuto due bottiglie intere. Naturalmente la sorgente l'abbiamo trovata ma ovviamente era congelata. Non tutti i mali vengono per nuocere. La passeggiata ci ha fatto scoprire scorci fantastici. Sembrava di essere in un a cartolina magica. Da lì si vedeva ogni cosa, più in alto si andava più si dominava il resto del territorio. Nelle montagne c'è qualcosa di magico e indescrivibile, si percepisce la gioia di vivere, ci si dimentica di tutto il resto, forse perché si è più vicini al cielo.
Da piccolo credevo che nel punto più alto dell'Etna non ci fosse la forza di gravità. La maestra ci aveva spiegato che più in alto si andava e minore era la forza gravitazionale. Così pensai alla vetta più alta che conoscevo all'epoca. In fondo non era colpa mia, si spiegava male lei. L'ho sempre odiata la maestra, con quella bacchetta di legno che sbatteva con violenza sulla cattedra per farci stare in riga. Era una donna di altri tempi con tecniche di insegnamento militaresche. Più di una volta ci fece marciare in cortile. In seconda organizzo una indimenticabile recita di fine anno. Vestiti da soldati dovevamo cantare Vecchio scarpone marciando sul posto. Tra le nostre voci stonate, i costumi realizzati con vecchi abiti riadattati, una scenografia di cartone con un bosco dipinto da un mio compagno in stile Parkinson e la maestra che ci suggeriva le battute, lo spettacolo si era trasformato in una punizione per gli sfortunati genitori che assistevano perplessi. Osservavo con vergogna le loro facce, un ricordo raccapricciante.
Quando ieri il papà di Lorenzo è venuto a prenderci, con gli altri ci siamo guardati delusi, il tempo è come volato. Durante il viaggio di ritorno a parte rispondere a qualche domanda di rito, siamo rimasti in silenzio per tutto il tragitto. Alla fine ci siamo salutati con la promessa di ripetere al più presto l'esperienza.
Ho dormito tutta la notte come un sasso, mi sento ancora oggi così rilassato da non avere voglia di far nulla. Mio malgrado, però, dovrò uscire con mia mamma prima della chiusura dei negozi di via Etnea. Dice che dovrò comprarmi qualcosa di dignitoso da indossare domani per il primo giorno di tirocinio. Oggi ho dato conferma all'ingegner Aloisio e alle 8:30 di domani dovrò presentarmi nel suo ufficio nei pressi delle Ciminiere. Mio padre per l'occasione mi lascerà prendere l'auto. Deve essere proprio felice di vedermi finalmente occupato, sono proprio rari i casi in cui lascia l'auto a me o Emilia. Ho la patente da poco meno di un anno e sarò uscito con quella macchina non più di tre volte. Questo argomento era uno dei cavalli di battaglia di Laura, avrebbe voluto essere portata in giro con l'auto e non capiva perché io non mi imponessi con mio padre. Mi istigava a prenderla senza il permesso. Io, invece, me ne sono sempre fregato, preferivo la pace in famiglia. Certo, mi farebbe comodo avere un auto sempre disponibile, ma non ne sento l'esigenza. Cammino volentieri a piedi, al massimo uso la mia bici.
Da domani vita nuova. Andrò al lavoro come un vero adulto, vestito in maniera appropriata, con l'auto, non sentirò più le lamentele mattutine di mio padre e presto, quando comincerò a guadagnare qualche soldo, mi comprerò un computer nuovo. Dovrà avere un potentissimo processore e una RAM da far rabbrividire qualunque sviluppatore. Non vedo l'ora!
Adesso, tra il cane del vicino che abbaia ininterrottamente, il compressore dell'autolavaggio sotto casa e mia madre che mi chiama pronta per uscire, mi sta venendo il mal di testa. È svanita la sensazione di pace che avevo conquistato in questi giorni. Vivo in un covo di pazzi. Non riesco più a ragionare. Rimpiango la montagna.

Nei panni di una donna - il diario dimenticatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora