Capitolo 4

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NEYTAN'S POV.

Sento la mia pelle bruciare.
Mi chiedo come sia possibile che uno sguardo simile possa farmi un tale effetto.
Vengo distratto da una voce maschile:
«Signore, Signor Carter! Mi scusi!»
Mi accorgo che il Barista cerca di pulirmi la camicia.
«Ma che cazzo fa! Stia più attento»
Gli strappo subito quello straccio dalle mani perché non voglio essere toccato. Cerco di non dare troppo spettacolo, anche se credo sia impossibile dopo l'urlo che ho appena dato.

Il barista cerca in tutti i modi di scusarsi.
«Mi scusi signore, sono mortificato. Pagherò io le spese della lavanderia, basta che non mi faccia licenziare, ho bisogno di questo lavoro la prego»
Noto disperazione in quest'uomo e non me ne frega un cazzo.
Quando sto per dirglielo mi ricordo di "lei".

Mi giro di scatto verso quel tavolo sperando che non abbia visto nulla per non fare la parte del coglione.
Mi alzo da quel fottuto sgabello per cercarla tra la gente, ma di lei, nulla.
Non c'è!
Rimango in piedi con le mani tra i capelli e ripenso a quel viso, ai suoi occhi.
Erano così intensi da farmi impazzire.
La rabbia dentro di me mi fa venir voglia di spaccare tutto, di prendere quel cazzone e spaccargli la testa. Se non fosse stato per la sua incompetenza sarei con lei chissà dove.

«Dio mio dove sarà andata»

Decido di andar via da quel fottuto posto, prima di dare di matto. Quasi all'uscita noto un foglio sul tavolo dove vi era seduta.
Ci sono dei numeri telefonici e nomi di alcune aziende, almeno credo. Lo infilo in una tasca ed esco dal locale. Salgo sulla mia auto, e prima di partire ricordo che devo andare in ufficio per sbrigare alcune pratiche.

«Dannazione quasi me ne ero dimenticato»

Quando arrivo in ufficio, la mia segretaria incomincia a parlare a mitragliatrice ricordandomi di alcuni colloqui di lavoro. Continuo a camminare snobbandola del tutto. Entro nel mio ufficio sbattendo la porta alle mie spalle.

Mi sento sfinito solo al sentire quella vocina da oca in calore.

Mi sdraio sul divano in pelle, versandomi un bicchiere di scotch e ripensando a quegli occhi smeraldo. Dopo svariate fantasie, prendo quel foglio per cercare di capirci qualcosa, ma nulla.  Solo dopo quasi mezza bottiglia di scotch mi accorgo che tra questi numeri c'è anche quello della mia azienda.

«Oh mio Dio cosa dovrà farci?!»

Stavo quasi per uccidermi scendendo dal divano.
Non riesco più a ragionare: apro la porta del mio ufficio e come un pazzo chiamo quell'oca della mia segretaria.

«Signorina Milton, Signorina Milton!»

Dove cazzo è finita?
«Quando ho bisogno di te non ci sei mai!»
«Mi scusi signor Carter, ero in bagno. Posso esserle di aiuto?»
«Sì cazzo vorrei il numero delle ragazze che domani mattina dovranno fare il colloquio, si sbrighi, non perda altro tempo.»

«Dio santo quanto mi fa incazzare», pensai.
Ci ha messo un'eternità per trovare il suo numero.

Cazzo sto sclerando, devo assolutamente licenziarla subito! Prima che la uccida con le mie stesse mani. Prendo il telefono per chiamarle una alla volta, ma poi mi blocco prima di comporre il primo numero.


«Che cazzo sto facendo?»
Cosa le dirò? "Salve sono quel coglione di stamattina che è stato folgorato dalla sua bellezza, e che non si era accorto che quel figlio di puttana del barista mi aveva versato il caffè bollente addosso!"
Ma dai Neytan ti sei fottuto il cervello.

Sono ore che giro nel mio ufficio come uno schizzato psicopatico, cercando di capire cosa posso fare per vederla ancora, ancora una volta.
Quando non so più cosa fare, esco a prendere un po' d'aria fresca.
Prendo la mia auto dal garage, e mi accorgo di quanto sia volata la giornata: il sole è tramontato, e tra i palazzi riesco a vedere i fasci di luce che creano una specie di arcobaleno. L'aria è diventata più fresca, il vento si è alzato portando via le foglie dagli alberi. C'è un odore quasi invernale.
Giro la città, cerco di farmi venire qualche idea per incontrarla, ma niente.
Non mi era mai successo prima, sono sempre stato io ad essere rincorso, ma questa volta no, sono io a farlo, anche se non so da dove iniziare e questa mia vulnerabilità mi fa incazzare ancora di più.

Decido di fermarmi di nuovo alla solita caffetteria con la speranza di rivederla.
Quando sto per entrare noto che c'è ancora quel fottuto barista, ma non me ne fotte un cazzo, mi siedo al bancone e ordino una vodka. Lui mi guarda con la faccia del cane bastonato, ma non gli do importanza, perché la mia mente è altrove.
Mi scolo il terzo bicchiere, e penso che questo sarà un altro giorno da non ricordare.

Nulla Può SuccedertiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora